LAGO DI GARDA – Quanti segreti nascondono i fondali del Garda? Quanti relitti riposano nei suoi abissi? Il più famoso è la galea veneziana affondata nel 1509 davanti a Lazise, protetta dai Beni archeologici di Venezia.
Al largo di Limone c’è la cannoniera Sesia, affondata nel 1860 dopo l’esplosione di una caldaia, e ritrovata 152 anni dopo il suo inabissamento proprio dai Volontari del Garda nel marzo 2012.
Tra Maderno e Punta San Vigilio si trova uno Spitfire, caccia inglese colpito nel ’45 dalla contraerea nella valle dell’Adige, affondato mentre tentava di raggiungere il promontorio di Maderno per un atterraggio di fortuna.
Tra la Rocca di Manerba e Desenzano si trovano diversi idrovolanti che parteciparono al mitico Trofeo Agello.
Le profondità nascondono poi carri armati e mezzi militari che nel 1945 i tedeschi in ritirata verso il Brennero deciso di affondare per non lasciarli in mani nemiche. Il lago ci sono poi un’infinità di ordigni bellici, barche di grandi e piccole dimensioni. Segreti e testimonianze di una storia che ogni tanto torna a galla. Grazie anche al lavoro di ricerca del Nucleo sommozzatori dei Volontari del Garda, guidati da Luca Turrini e Mauro Fusato.
La Sesia, il più grande disastro avvenuto in acque interne italiane
Marzo 2012, al largo di Limone sul Garda. Violando l’oscurità delle profondità gardesane con i propri fari, il rov avanza lentamente. D’un tratto ecco apparire, tra la nebbia delle particelle in sospensione nell’acqua, lo specchio di poppa, poi la ruota del timone, il supporto dell’albero, la paratia del cannone, i legni dello scafo e del ponte, il fumarolo ed il fischietto a vapore.
Per la prima volta, 152 anni dopo il suo inabissamento, è possibile rivedere il relitto della «Sesia», cannoniera affondata l’8 ottobre 1860 al largo di Limone a causa di una improvvisa esplosione a bordo.
Lo hanno filmato i Volontari del Garda, che il 4 marzo 2012, in collaborazione con lo storico limonese Cesare Montagnoli, avevano individuato il relitto sul fondale del Garda, a 330 metri di profondità. Che la motonave fosse là sotto, al largo di Limone, lo si sapeva. Ma nessuno l’aveva mai localizzata, né fotografata.
Lo stesso obelisco in marmo eretto in località Bine a ricordo delle vittime (ancora lo si scorge transitando sulla Gardesana), non era un’indicazione attendibile ed utile a localizzare il relitto: «Non molti lo sanno – spiega Montagnoli – ma quel monumento è stato spostato ben tre volte in occasione della costruzione della Gardesana e di lavori successivi. Negli anni Cinquanta è stata addirittura smarrita la croce in ferro che aveva sulla sommità».
La motonave è integra. Alcune fonti storiche ipotizzavano che fosse spaccata in due. Invece no: è tutta intera. Probabilmente manca la porzione di ponte che si trovava sopra la caldaia esplosa, ma lo scafo è tutto d’un pezzo.
Nel disastro della Sesia, cannoniera della Marina del Regno di Sardegna trasformata in motonave passeggeri, morirono 42 persone (33 passeggeri e 9 marinai), tutte italiane, tra le quali anche sette membri della famiglia Arvedi di Limone sul Garda, di fatto quasi azzerata dal naufragio.
Di quel disastro (il più grave avvenuto in acque interne italiane) molti avevano perso memoria.
Grazie all’individuazione del relitto con il sonar la storia della Sesia è tornata di attualità. La storia della Sesia nel corso degli anni è sopravvissuta nei ricordi degli abitanti del Garda e successivamente nei racconti tramandati di generazione in generazione. Alcune cronache furono scritte da discendenti delle persone coinvolte nel naufragio o da storici del tempo, mentre traccia dell’affondamento si trova in diversi testi e manoscritti di testimonianze dirette di chi assistette alla tragedia o da persone tratte in salvo. Ora, 152 anni dopo l’affondamento, la cannoniera Sesia torna a far parlare di sé.
Il mezzo anfibio Dukw dell’esercito Usa
Lo avevano cercato, invano, anche i militari Usa. Tra il 2003 e il 2008 effettuarono tre distinte campagne di ricerca sul Garda per individuare nelle profondità lacustri il mezzo anfibio su cui persero la vita, sul finire della seconda guerra mondiale, 24 soldati della decima «Mountain division». Si auguravano di poter recuperare i resti dei militari scomparsi, per dare ai connazionali caduti in battaglia una sepoltura almeno simbolica. Ma le ricerche furono archiviate senza esito.
Sul lago, però, c’è chi non ha mai smesso di cercare: gli uomini del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari del Garda, che ora hanno visto premiati sforzi e perseveranza. Il 9 dicembre del 2012 i Volontari hanno individuato il mezzo, fissato la posizione esatta del relitto e lo hanno filmato.
Un ritrovamento eccezionale, tramite il quale i Volontari del Garda scrivono il capitolo conclusivo di una storia tragica cominciata quasi 70 anni fa. Erano gli ultimi giorni dell’aprile del 1945 quando gli uomini della 10ª Mountain Division Usa tentarono l’unica azione possibile per infrangere la dura resistenza opposta dalla Wehrmacht in ritirata lungo la Gardesana Orientale: aggirare le gallerie con un’ardita operazione via lago.
La notte del 30 aprile un mezzo anfibio «Dukw» salpò da Malcesine alla volta di Riva del Garda. Portava un carico di armi: un cannone da 74 millimetri, mitragliatrici e munizioni per un peso stimato di 9.475 libbre, contro le 5mila tollerate del mezzo. Sotto il peso di un carico eccessivo, complici le onde di una notte di tempesta, quelle tempeste violente e improvvise che i gardesani conoscono e temono, il Dukw si rovesciò e si inabissò, trascinando con sé il suo carico umano di 25 soldati. Se ne salvò solo uno, il caporale Thomas Hough dell’Ohio. Si aggrappò a un relitto galleggiante e riconquistò la riva grazie all’aiuto dei soldati M. Dennis e T. Skonieczny, che andarono a prenderlo, in mezzo al lago, nuotando tra i sibili dei proiettili che i tedeschi sparavano loro addosso (i due soccorritori furono premiati con una medaglia al valor militare).
Gli altri 24 soldati, tutti giovanissimi, tra i 18 e i 23 anni, si inabissarono nel lago insieme al mezzo anfibio e furono dichiarati «Missing in action». Tra loro anche un generale di brigata, l’ultimo ufficiale americano di grado elevato caduto sul fronte europeo nella seconda guerra mondiale.
Gli uomini della 10ª Divisione da montagna americana, addestrata a Camp Hale, in Colorado, giunsero in Italia nel dicembre del 1944, attestandosi sull’Appennino bolognese. Il 22 aprile del ’45 furono i primi soldati alleati a raggiungere il Po, attraversato a S. Benedetto, nel Mantovano. Conquistati l’aeroporto di Villafranca e la città di Verona, tentarono quindi di risalire la sponda orientale del Garda in direzione Brennero. Falliti i tentativi di risalita lungo la strada Gardesana, gli americani decisero di utilizzare i mezzi anfibi. La battaglia gardesana costò alla 10ª Divisione 63 morti, tra i quali i 24 dispersi del Dukw. I Volontari del Garda erano sulle tracce del mezzo anfibio dall’autunno 2011. Lo hanno ritrovato a 276 metri di profondità, a centro lago, 3,8 km a sud di Riva del Garda, di fronte alla località veronese Corno di Bo.
Una storia minore: la “gabarra” di Toscolano
Nel gennaio del 2013 i sonar e le telecamere del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari del Garda hanno individuato, al largo di Toscolano, una gabarra, ovvero una grossa imbarcazione priva di propulsione (veniva trainata da uno o più piroscafi) utilizzata sul Garda per il trasporto di merci fino alla metà del secolo scorso.
Il mezzo è adagiato sul fondale a 130 metri di profondità, al largo del porto di Toscolano.
Il relitto in legno, di notevoli dimensioni (20×4 metri), si trova in buono stato di conservazione e poggia in perfetto assetto di navigazione su un fondale pianeggiante. «Dalle caratteristiche costruttive – spiegano i responsabili del Nucleo, Mauro Fusato e Luca Turrini – si può ipotizzare che lo scafo possa essere stato costruito tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, dopodiché tali imbarcazioni furono costruite in ferro. La sua stazza permetteva trasporti di notevole entità, di carattere industriale o militare in tempo di guerra. Dato che ogni accessorio in metallo, soprattutto ottone, non è stato rimosso, la gabarra è stata probabilmente vittima di un naufragio e non di un affondamento intenzionale: era impensabile disfarsi di un natante non più riparabile senza privarlo dei suoi accessori più preziosi e costosi».
Visto il luogo del ritrovamento, al largo del porto di Toscolano, Fusato e Turini suppongono che questa gabarra fosse utilizzata «per trasportare materie prime e prodotti lavorati da e per la Valle delle Cartiere. Il fatto che al suo interno non vi sia traccia dell’eventuale carico può far pensare che trasportasse prodotti cartacei, certamente distrutti dal tempo». In ogni caso, questo ennesimo ritrovamento dei Volontari del Garda apre una finestra inedita sul passato gardesano.
Il North American P-51 Mustang inabissatosi al largo di Lazise.
Nell’aprile del 2013 un altro pezzo di storia riemerge, dopo decenni, dai fondali del lago. Ancora una volta sono i Volontari del Garda a rendersi protagonisti di un ritrovamento che fa notizia.
Questa volta, a finire nel raggio d’azione del sonar, e poi nell’obiettivo della telecamera subacquea del Rov del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari, è stato un aereo. Le fotografie diffuse dai responsabili del Nucleo, Mauro Fusato e Luca Turrini, lasciano intravedere le ali del velivolo, un particolare delle mitragliatrici, parti del motore, una ruota del carrello, l’elica, contorta e piegata forse a causa dell’impatto con l’acqua.
Dopo i primi esami visivi viene appurato che si tratta di un North American P-51 Mustang (wikipedia), aereo dell’esercito a stelle e strisce prodotto a partire dal 1941, considerato uno dei più versatili caccia americani della seconda guerra mondiale. Questi aerei furono schierati sia sul fronte europeo che su quello del Pacifico per contrapporsi ai velivoli della Luftwaffe.
In nu primo momento si fa strada l’ipotesi che possa trattarsi dell’unico Mustang disperso nel Garda, caduto a guerra ormai finita, pilotato da un aviatore del Michigan, che risulterebbe scomparso, «missing in action».
Poi una task force di ricercatori, consulenti storici e collaboratori del gruppo di Protezione civile salodiano ha fatto definitivamente luce sulla storia del caccia di fabbricazione americana, scovando negli archivi storici dell’Aeronautica militare italiana i pezzi del puzzle che ancora mancavano per delineare con chiarezza i contorni di questo capitolo della storia gardesana risalente a 62 anni fa.
Il Mustang, in dotazione all’Aeronautica militare italiana come dimostra la coccarda con il cerchio tricolore inquadrata dalle telecamere del robot subacqueo dei Volontari, si inabissò nel lago nell’agosto del 1951.
La guerra era finita già da qualche anno. Si tratterebbe, dunque, di un incidente avvenuto in fase addestrativa. Nella tragedia perse la vita il pilota che si trovava ai comandi del caccia, il tenente Paolo Tito di 29 anni, originario di Caserta, la cui salma fu ripescata all’epoca dei fatti dai palombari, non senza difficoltà viste le tecnologie e le attrezzature per le operazioni di profondità disponibili all’epoca.
Il veliero Roma: l’ultimo ritrovamento
Aprile 2014: le telecamere subacquee dei Volontari del Garda individuano un grosso veliero da trasporto, il cui relitto è adagiato, a 120 metri di profondità, su un fondale fangoso e pianeggiante al largo di Moniga.
Ad individuarlo è stato Mauro Fusato, uno dei responsabili, assieme a Luca Turrini, del Nucleo sommozzatori dei Volontari del Garda. Gli esploratori del sommerso gardesano stavano eseguendo ricerche di studio dei fondali utilizzando un sonar a rotazione quando si sono imbattuti nella sagoma del veliero.
La successiva ispezione con le telecamere di un robot subacqueo ha svelato un relitto ben conservato, di cui non si conosceva la storia. Almeno sino ad ora. Perché i Volontari, grazie al contributo del Forum Regia Marina Italiana, sono risaliti all’identità del relitto, partendo dall’unico indizio che avevano a disposizione: le uniche due lettere ancora visibili del nome del veliero, notate sullo specchio di poppa, ovvero una «O» e una «M». Dopo alcune ricerche in archivio, i Volontari hanno dato un nome al relitto: si tratta del veliero «Roma».
Hanno inoltre ricostruito la sua storia. Era il 18 febbraio 1938 quando, verso le 10, il veliero prendeva il largo dal porto di Desenzano per trasportare a Riva 250 quintali di cemento ed altra merce. A bordo il proprietario del veliero, Giovanni Cattoni di 50 anni, ed il suo aiutante, Bortolo Cretti di 54 anni.
Dopo un’ora di navigazione i due sono colti da una tremenda burrasca. La cronaca di quell’evento dimenticato venne riportata sul quotidiano «Il Popolo di Brescia» del 19 febbraio 1938, che ne descrive chiaramente gli estremi tra antefatti, sviluppi ed epilogo: «I malcapitati cercavano di appoggiare, manovrando verso il porto di Moniga, ma in realtà essi erano completamente in balia della tempesta». La scena non passava inosservata agli abitanti della costa, che videro «il veliero capovolgersi e scomparire in un gorgo di schiuma». La cronaca registra i tentativi eroici di alcuni pescatori che cercarono di raggiungere i due naufraghi. Ma fu «il milite Enrico Magni, reduce dell’Africa Orientale, un gagliardo contadino di 27 anni» a trarre in salvo i due, raggiungendo a nuoto il Cattoni e il Cretti e «unendo i suoi sforzi ai loro, riusciva a trarli a riva in salvo, tra l’ammirazione degli accorsi».