SALÒ – Il paesaggio del Garda è stato il tema di un convegno promosso dall’Ateneo di Salò lo scorso 9 maggio. Per chi se lo fosse perso, ecco di cosa si è parlato.
Sul fatto che il paesaggio del Lago di Garda sia uno dei più belli del mondo concordano tutti da un paio di millenni. Su come recuperarlo dalle ferite infertegli nei tempi più recenti e salvaguardarlo per il futuro ha dibattuto il convegno di sabato 9 maggio a Salò nell’ambito degli eventi per il 450° anniversario di fondazione dell’Ateneo.
La trasformazione del paesaggio salodiano dovuta al terribile terremoto del 1901, in seguito al quale il fronte dei principali palazzi fu spostato dal centro urbano al lungolago, è stata oggetto dell’apertura da parte del promotore dei lavori, l’architetto ed ex-sindaco di Salò, Giovanni Cigognetti. “Altre significative modificazioni avvennero nel paesaggio della parte bresciana del lago con l’arrivo in particolare ad Arco e Gardone, degli stranieri, Austriaci e Tedeschi, che costruirono le case di cura e i grandi alberghi ed influenzarono l’architettura delle ville private. Il resto del Benaco aveva mantenuto intatto il proprio fascino originale. Nella seconda metà del ‘900 le amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, emanarono una serie di leggi di tutela e vincolo; ciononostante sono andate progressivamente annullandosi le caratteristiche costruttive e si è prodotta una radicale modifica del territorio. Come è stato possibile tutto ciò? Quanto poco è rimasto delle porzioni sotto tutela? Tornare indietro non si può. Ma occorre pensare il paesaggio futuro, rileggendo quello attuale per impedire ulteriori sottrazioni di bellezza, domandandosi come ridargli coerenza e qualità”.
Dopo un dettagliato excursus di Marinella Mandelli, curatrice della rassegna “I Giardini del Benaco”, sulla loro attività degli anni passati e sui progetti per il futuro, il regista teatrale Cesare Lievi ha interpretato in modo del tutto originale e inconsueto “Il pensiero del paesaggio”. Quello che percepisce da sempre dalla propria casa sulla piazzetta di Villa di Gargnano, a fronte del Monte Baldo. Un pensiero che con la sua straordinaria mutevolezza fa sentire gli abitanti in un perenne altrove e ne influenza il modo di vivere, di comportarsi. Sottolineato il ruolo degli Austriaci nel cambiamento della vegetazione, cui hanno dato un’impostazione mediterranea, Lievi ha citato come esempio di drammatica modificazione del paesaggio il caso di Sirmione, che non si capisce neanche più che sia una penisola. “Hanno ucciso Catullo” ha detto con rammarico, invitando a cercare di conservare quello che è rimasto di buono e ad avere il coraggio di distruggere “il pessimo”. “Per non far scappare coloro che questo lago hanno scelto come Heimat (patria)”.
“Indifferenza e banalizzazione sono i due aspetti più preoccupanti per il paesaggio – ha esordito l’architetto paesaggista tedesco Andreas Kipar – Renderlo vivo è il nostro compito, eliminando l’antica concezione di conquista e sostituendola con un corretto rapporto tra cultura e natura. Mettere ordine occorre, in un quadro disordinato, che ha bisogno di correzioni; ragionare su un nuovo paradigma delle infrastrutture, avere il coraggio di pensare in chiave 2030/2050.” Gli fa eco l’architetto del Politecnico di Milano Andrea Rocca: “Possiamo pensare il paesaggio del futuro solo con atteggiamento di tipo progettuale. Cercare di capire come è stato fatto per sapere come fare a mantenerlo. Occorre accorciare le distanze fra gli enti nazionali e quelli locali: si richiede maggiore capacità di ascolto delle esigenze locali da parte dei pianificatori. I piani contengono indicazioni giustissime, ma queste devono essere applicate nella realtà. E’ urgente prendere per il paesaggio i provvedimenti che sono stati attuati da 20/30 anni per il recupero e la salvaguardia dei centri storici, perchè è una parte del patrimonio altrettanto importante. Si può trasformare senza distruggere. Infine bisogna credere nella centralità degli spazi pubblici: la privatizzazione delle aree è quella che crea il turismo deteriore, senza condivisione e socializzazione.”
“Siamo la generazione che ha più parlato, scritto, fatto convegni sulla conservazione del paesaggio e siamo quella che più lo ha distrutto.” Così ha aperto la propria relazione Francesc Muñoz, geografo docente all’Università di Barcellona, che definisce il fenomeno “urbanalizzazione”, assimilando il momento attuale, in cui viene progressivamente a mancare il “tempo morto di qualità” in cui ad esempio osservare il paesaggio, a quello storico della inurbazione dei contadini: essi andando a lavorare in città si resero conto che le ore non erano più scandite dalla natura, ma da ritmi artificiali stabiliti dall’uomo. “Oggi abbiamo una nuova rivoluzione: misuriamo il tempo con la cultura digitale” ha aggiunto il relatore, suggerendo per combattere la banalizzazione del territorio la gestione, la capacità di rinnovare in modo creativo, di generare sinergie anche con le attività dei turisti.
A proposito del progetto di candidare il Lago di Garda al riconoscimento di “sito patrimonio dell’umanità dell’Unesco” Kipar e Muñoz concordano sul fatto che sarebbe fatica sprecata se il territorio non si presentasse con progettualità definita, se la comunità non avesse la capacità di unirsi in un obiettivo comune in visione condivisa.
Il convegno si è concluso con la nota umanistica di Michael Jakob, storico del paesaggio e docente alle università di Losanna, Ginevra e Grenoble, che ha passato in rassegna il rapporto con il paesaggio acquatico di letterati e pittori, partendo da Petrarca per arrivare a Rousseau, Hölderlin, Mallarmè, Lamartine, Turner e Ferdinand Hodler.