Festa presenta il libro Fronte Russo
SALÒ – Sabato 3 ottobre alle 17 nel cortile della biblioteca Bruno Festa presenta il libro «Fronte russo. Diario storico militare della 2° Divisione Alpina Tridentina».
La presentazione è promossa dalla Biblioteca di Salò nell’ambito degli incontri con l’autore “Il sabato in biblioteca”. L’ingresso è libero.
Il volume riporta il diario storico militare della Divisione Tridentina nella guerra di Russia, tra il luglio ed il dicembre 1942, con un’appendice dedicata alla ritirata di Nikolajewka (gennaio 1943), raccontata dal generale Luigi Reverberi, che la guidò.
Si tratta della prima trascrizione in Italia di questo diario storico militare, che include anche i diari del 6° Reggimento Alpini e dei Battaglioni Vestone, Val Chiese e Verona, che fecero l’addestramento alla caserma di San Carlo, a Bogliaco di Gargnano, prima di essere inviati in Piemonte nell’estate 1942 e, da lì, in Russia.
Il diario, conservato all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, a Roma, nel faldone numero 850, è stato scritto solo in parte in concomitanza con lo svolgimento delle azioni, e riguarda in particolare il faticoso e laborioso trasferimento dalle caserme italiane alla Russia. Per i restanti mesi, i diari sono ricostruiti in base alle testimonianze degli ufficiali superstiti.
Anticipiamo la Presentazione del libro, a cura dello stesso autore.
Presentazione
Camminavo solo per i camminamenti.
Mi fermai accanto a una vedetta e non dissi niente; guardai da una feritoia la neve sul fiume; non si vedevano più le peste della pattuglia, ma io le avevo e le ho ancora dentro, come piccole ombre sulla neve di luce ghiacciata[1].
Quelle peste, raccontate da Mario Rigoni Stern, sono tracciate su uno strato di neve, appoggiato sul ghiaccio che ricopre l’acqua del fiume. In apparenza, nulla appare più precario. Eppure, quelle peste hanno allungato la loro ombra fino a noi.
Quella tragica e sciagurata avventura militare[2] non deve essere dimenticata ma – e questo è il significato di questo libro – non vanno dimenticati soprattutto coloro che quella storia l’hanno scritta davvero, sempre ubbidienti, seppure avessero lo sguardo diretto spesso a occidente, accompagnato dalla domanda su quanto fosse distante l’Italia e quale fosse la strada per tornare a casa.
Ho avuto occasione di intervistare Mario Rigoni Stern.
Ottantenne, stava tuttavia bene e, con movimento possente, incuneava lo sguardo nell’infinito. Camminando, meditava e rifletteva.
La brutalità di una guerra esplode e si evidenzia soprattutto quando c’è la paura, mi spiegava. E precisava che il disarmo totale è un’utopia. Dobbiamo difendere casa nostra. Non certo per impedire di entrare a chi ha fame ma per evitare la violenza, e si eccede nella violenza quando si viene presi dalla paura.
Tra i suoi ricordi di Russia emergeva l’amicizia con molti giovani soldati bresciani dei Battaglioni Vestone e Val Chiese. Lo scrittore di Asiago accennava all’abilità di molti di loro nel decorare i fucili e ammetteva che, rispetto alla guerra di Albania, la campagna di Russia obbligò a voltare pagina. Tutto era diverso.
Ho scelto alcune riflessioni tra le tante che hanno raccontato quella guerra.
Racconta Piero Seminario, reduce bresciano classe 1920[3].
Una volta entrai in una isba per cercare qualcosa da mangiare, lo facevamo spesso. La vecchietta che c’era dentro mi invitò a sedere e mi diede da mangiare della minestra. Poi chiamò una ragazza che aveva con sé un bimbo e mi fece vedere la foto di un ragazzo con la divisa da soldato.
A gesti mi fece capire che il ragazzo era suo figlio e la ragazza la nuora. Quando mi alzai da tavola mi diede altro cibo. Le porsi la mano come ringraziamento e lei mi abbracciò al collo mettendosi a singhiozzare e piangere. Chissà, magari pensò che se avessi visto suo figlio avrei cercato a mia volta di trattarlo bene.
Ma noi: andavamo a morire per chi? Per cosa? Cosa ci avevano fatto questi russi per andare a combattere a casa loro? Le guerre sono solo una bülàda[4] e basta, servono solo a far morire la povera gente.
Più caustico e amaro un passaggio di Nuto Revelli[5]:
Su quota 228, intanto, due Battaglioni del 6° Alpini, il Vestone e il Val Chiese, attendevano l’ordine di attacco. Ecco come il comando tattico da cui dipendeva il 6° Alpini mandò al macello questi reparti.
Alle 4 niente preparazione dell’artiglieria, niente intervento dell’aviazione italiana. Alle 5 l’aviazione non era ancora comparsa. Anche le due colonne corazzate tedesche erano mancate all’appuntamento.
Arrivarono, sferragliando, una ventina di carri armati italiani, leggeri come scatolette di latta: tre tonnellate pesavano, meno di un camion.
La piana, l’immensa piana di nessuno che gli alpini avevano di fronte, aveva preso forma, appariva immensa. Un piccolo campo di girasoli, lontano, fra le linee russe; tre alberi nudi come scheletri, ed il resto steppa. Su quel terreno piatto, in leggera pendenza, gli alpini cominciarono a scendere curvi, sotto gli zaini affardellati. Erano lenti, massicci. Con il sole che stava nascendo, si contavano anche i fili d’erba, si vedeva tutto. I mortai russi aprirono all’improvviso un fuoco infernale. Caddero centinaia di alpini. Correndo alla garibaldina, i battaglioni scesero contro le mitragliatrici. Si dispersero. (…). Molti morti, nessun risultato.
Molte medaglie. Forse per il comando tattico anche le sacrosante promozioni per merito di guerra. Dopo due notti, su quota 228 rientravano ancora gli ultimi sbandati del Vestone e del Val Chiese.
Un’altra vicenda, tra le tante, la riporta Giulio Bedeschi[6]:
…nella quiete serale, con le braccia abbandonate sulla sabbia e la mascella aperta pareva implorare sepoltura. Gli artiglieri alpini si guardarono sconcertati.
– È un soldato russo, disse il sergente Sguario.
– Poveretto, disse Pilòn.
Scudrèra, in silenzio, con un badile iniziò a scavare una fossa due metri più in là.
Quando il russo fu sepolto, il tumulo di sabbia si rilevava di qualche spanna dal piano del bosco. L’infermiere Zoffoli aveva costruito con due rami una croce, si apprestava a piantarla; interdetto, indicando verso il sepolto chiese guardando i compagni:
– Chissà se la vuole…
– Sua mamma sì di sicuro.
Zoffoli infisse la croce nel tumulo. Tutti gli altri intorno, immobili e senza parola, si fecero il segno della croce.
A guardarli in viso, sembrava che seppellissero uno dei loro.
Con questo libro ho scelto di approfondire almeno un poco la storia della Seconda Divisione Alpina Tridentina sul fronte russo, e ho pensato di farlo attraverso la trascrizione del Diario storico militare. Il motivo?
Un suo Reggimento, il Sesto, composto dai Battaglioni Val Chiese, Verona, Vestone, si addestrava a Bogliaco sul Garda.
Fu così anche per un mio zio e tanti suoi amici. E io abito a due passi da lì.
Però, all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, a Roma, mi hanno subito chiarito che non si trova molto materiale. Al contrario, ce n’è davvero poco, e quel poco è racchiuso in un solo faldone: il numero 850, che contiene, appunto, il Diario storico militare della Divisione Tridentina e dei suoi Reggimenti.
In qualche caso ci sono anche gli allegati, preziosissimi per la ricostruzione della vicenda. Purtroppo, per il Sesto Alpini, ce ne sono pochi.
Ho, quindi, intrapreso la strada della trascrizione del materiale.
Gli stessi Diari, peraltro, che coprono il periodo da luglio a dicembre 1942, solo in parte sono stati scritti in concomitanza con lo svolgimento delle azioni. Riguardano in particolare il faticoso e laborioso trasferimento dalle caserme italiane alla Russia, mentre, per la gran parte dei restanti mesi, i Diari sono ricostruiti in base alle testimonianze degli ufficiali superstiti e dei documenti salvati dalla distruzione.
Gli originali dei Diari, riferiti ad alcuni mesi di guerra, non sono mai giunti in Italia. In qualche caso, si legge, sono stati distrutti per scelta militare.
Tra le espressioni che il lettore può trovare all’interno della pubblicazione, ne ricorre una:
L’originale del Diario Storico, trasmesso a suo tempo dalla Russia, non è giunto a destinazione causa disguidi postali derivanti dalla particolare situazione creatasi in quel teatro operativo. La copia del Diario in consegna al Comando Divisione venne distrutta durante le note vicende belliche. La presente ricostruzione dell’attività del Comando e dei reparti dipendenti è stata redatta sulla scorta dei pochi documenti rimasti e sulla base di ricordi e memorie degli ufficiali superstiti.
In appendice viene illustrata con scarna cronaca la ritirata di Nikolajewka, nel gennaio 1943.
Non vi sono immagini nel libro: decisione dettata da due ragioni.
Ho, infatti, voluto utilizzare esclusivamente il materiale incluso nel faldone n. 850, dell’Ufficio Storico.
In seconda battuta nutro seri dubbi che, a tre quarti di secolo di distanza da quegli eventi, esista materiale fotografico inedito, che sia accessibile.
I Diari sono riportati con assoluta fedeltà al testo che venne scritto a mano ed agli allegati, dattiloscritti, con marginali ritocchi linguistici e, in alcuni casi, con l’adattamento ortografico delle denominazioni di luoghi e centri abitati.
Infatti, alcune località russe hanno a volte cambiato nome anche più volte in seguito a cambiamenti politici, inoltre la traslitterazione dal cirillico può essere molto variabile perché alcuni suoni non esistono nel nostro alfabeto. Altre lettere uniscono due suoni insieme o vengono pronunciate diversamente a seconda di dove cade l’accento nella parola. Ma gli accenti non vengono segnati. Si arriva, infine, anche a sei maniere diverse per identificare il medesimo luogo. Si aggiunga, poi, che negli stessi diari e negli allegati non sono certo poche le discordanze che si rilevano nell’indicazione della stessa località.
La grafia di ogni singolo nome, tra le svariate centinaia che sono qui riportati, è stata verificata attraverso la consultazione di specifici siti web italiani e tedeschi. Ciononostante, in qualche circostanza non è stato possibile un riscontro. In questi casi è stato riportato il vocabolo così come lo si legge nei Diari.
Per favorire la comprensione da parte del lettore e per evitare confusione, l’orientamento è stato quello di utilizzare una sola denominazione per ogni singolo luogo: è stata scelta la più ricorrente.
Il linguaggio dei Diari ha stili diversi. In qualche caso, chi li ha scritti riportò alcuni elementi di base: condizioni meteo, movimenti, azioni di guerra e così via. In altre circostanze non manca, nel definire lo svolgimento delle azioni belliche ed il comportamento dei soldati, un gergo enfatico condito da linguaggio retorico. In altri casi si assiste a pregevoli passaggi stilistici. Ma è ancora Revelli a ricordarci che non basterà costruire un grande monumento di parole e di retorica per calmare i nostri morti. Unitamente alle mappe militari, illustrate nelle pagine finali (depositate all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito), vengono esemplificate su una carta geografica d’Europa le due tratte ferroviarie utilizzate con maggiore frequenza dalle truppe alpine per recarsi dall’Italia alla regione del Don, in Russia. Stazione d’arrivo: Gorlowka.
Infine, una segnalazione di carattere tecnico.
Quando nel testo compare il termine allegato (in corsivo) si indica un documento che viene poi effettivamente riportato in questo libro.
In caso contrario, cioè con la parola trascritta con caratteri standard (allegato), si indica un documento che consiste, per così dire, nell’“allegato dell’allegato” e che non è accluso nella Busta 850 dell’Ufficio Storico. Pertanto, senza possibilità di trascrizione.
Auguro a tutti buona lettura e dico il mio grazie a chi nutre interesse per la Storia: è un grande sostegno per il mio lavoro.
Bruno Festa
[1] M. RIGONI STERN, Il sergente nella neve, Milano 1953, pp. 24 – 25.
[2] In Gargnano e gli alpini: adunata sezionale 14-15-16 giugno 2013, [s.n., 2013], pag. 32.
[3] S. GOFFI, La Guerra del Piero, Bedizzole 2014, pp. 77 – 78.
[4] Sbruffonata, in dialetto bresciano.
[5] N. REVELLI, La guerra dei poveri, Torino 1962, pp 20
[6] G. BEDESCHI, Centomila gavette di ghiaccio, Milano 1963, pp. 140 – 141.