SALÒ – Emerge dagli archivi militari russi la storia dell’alpino Celestino Ebranati, salodiano, classe 1922, partito per la campagna di Russia nel 1942 e risultato disperso.
Dopo oltre settant’anni i familiari di Celestino Ebranati, salodiano classe 1922, alpino del battaglione Val Chiese dato per disperso in Russia, hanno potuto scoprire il destino del loro congiunto.
La verità sulla tragica vicenda della penna nera salodiana, uno dei tanti eroi sconosciuti della scellerata campagna di Russia, è arrivata a Salò via lettera (la puoi scaricare qui). L’ha spedita nei giorni scorsi all’anagrafe municipale il Ministero della Difesa – Commissione Generale per le onoranze ai Caduti. Era indirizzata «alla famiglia del soldato Celestino Ebranati».
La lettera informa che «dopo attente verifiche è emerso che il soldato, già dichiarato disperso, fu invece catturato dai sovietici ed internato nel lager ospedale n° 2985 di Kociet (Regione di Kirov, Russia), ove morì il 5 maggio 1943».
Celestino era nato a Salò il 28 luglio del 1922. A soli vent’anni, nel 1942, dopo un breve addestramento a Bogliaco e a Merano, era stato inviato in Russia col Battaglione Val Chiese, dove venne fatto prigioniero nell’inverno del 1943.
In quelle poche lettere che Celestino ha inviato dalla Russia alla famiglia si denota il grande spirito di sacrificio e di sopportazione alle difficoltà di quella campagna russa, tipico degli alpini e soprattutto tipico delle persone semplici, avvezze già da giovanetti, a lavorare duro nei campi e a mangiare poco e sempre uguale: minestroni di verdura e polenta con qualche crosta di formaggio presa a poco prezzo dai salumai salodiani.
Oggi sono ancora in vita tre dei sette fratelli di Celestino e il suo ricordo è perpetrato anche da molti nipoti, che hanno sempre sentito parlare di quello zio mandato in Russia ventenne e mai più ritornato. Tra questi Giuliano Ebranati, anche lui alpino, ex ufficiale di complemento, che racconta: «Ricordo che mio padre, fratello di Celestino di due anni più grande, anche lui alpino, mandato al sud a contrastare lo sbarco degli angloamericani, si era dato molto da fare per avere sue notizie, purtroppo senza esito. Ricordo che in famiglia si accarezzava l’idea, cullata da molti nella nostra stessa situazione, che Celestino fosse ancora vivo, ma impossibilitato a ritornare alla sua casa, al suo lago, alla sua Salò».
Flebili speranze che si sono affievolite col passare dei decenni. «Ora – continua Giuliano – rimane l’orgoglio di avere avuto un piccolo eroe alpino in famiglia. Sappiamo che dopo la cattura è sopravvissuto valorosamente per altri cinque mesi nel campo di prigionia».
Gli archivi sovietici.
La storia di Celestino Ebranati, come quella di molti altri alpini, è tornata a galla esaminando gli archivi segreti dell’Unione Sovietica con gli elenchi dei militari italiani catturati nella seconda guerra mondiale, resi accessibili dal 1992. Da allora si svolge, con il contributo dell’Unione nazionale reduci di Russia, una continua attività di traslitterazione dei nomi di quegli elenchi, che vengono incrociati con i documenti in possesso delle autorità italiane. Nei giorni scorsi, ecco il nome di Celestino. La speranza di recuperare e rimpatriare i resti mortali dei caduti a Kociet è però praticamente nulla. Tutti i soldati deceduti nel campo di prigionia sono stati tumulati in fosse comuni. «Se potremo – dice Giuliano -, andremo comunque a portare un fiore a Kociet, per ricordare e onorare zio Celestino».