I pini di Armo: la storia incisa nella corteccia
VALVESTINO - I pini silvestri di Armo, in Valvestino, sono alberi che parlano. Hanno infatti una loro storia da raccontare, incisa nel legno e nella corteccia.
Il pino silvestre è presente un po’ ovunque sui monti nell’Alto Garda. Ma per osservarlo conviene raggiungere la frazione di Armo, nel Comune di Valvestino, nel cuore verde e selvaggio del Parco dell’Alto Garda Bresciano.
I pini silvestri di armo
Non solo perché appena sopra il paese si trova una bella e vasta pineta (raggiungibile in pochi minuti lungo un comodo anche se ripido sentiero), ma anche perché qui i pini portano impressa nella corteccia la testimonianza ancora visibile di una pratica ormai perduta: la resinazione.
“Una pratica – scrive Paolo Nastasio nel libro “I boschi del lago. Itinerari nella foresta demaniale Gardesana Occidentale”, Grafo ed. – relegata fra i ricordi di quel tempo in cui dal bosco si prelevava tutto quanto era possibile sfruttare. Come avveniva per la resina, prezioso composto prima dell’avvento della chimica organica“.
La resinazione
Per estrarre la resina si praticavano, sul tronco liberato dalla corteccia, incisioni a V profonde circa un centimetro. Tale pratica prevedeva solitamente tre cicli di resinazione della durata di 5/10 anni ciascuno. Quando il tronco raggiungeva il diametro sufficiente, si praticavano incisioni a spina di pesce, che insistevano su un terzo della circonferenza. Dalle “ferite” usciva una certa quantità di resina, che veniva convogliata dalle incisioni in piccoli recipienti, dai quali era periodicamente raccolta.
Al termine dei tre cicli di resinazione l’intera circonferenza della pianta era coperta da “cicatrici” e l’albero non era più in grado di sopravvivere. Non restava che abbatterlo e sfruttarne la legna. I pini di Armo hanno subito un solo ciclo di resinazione, su un lato del tronco.
Una volta raccolta, la resina veniva lavorata con il fuoco e raffinata, fino alla produzione di pece e trementina.
I commerci con la Serenissima
“La Valvestino – scrive ancora Nastasio – doveva essere una discreta produttrice di trementina. Giuseppe Zeni, profondo conoscitore di questa terra, racconta di un commercio fiorente con la vicina Repubblica veneta, che impiegava la resina nella manutenzione della propria flotta”.
Zeni suggerisce l’ipotesi dell’origine del toponimo valvestinese fornèl attribuendola alla presenza di un impianto per la raffinazione della resina per ottenerne trementina; non è da escludere che a fianco della raffineria vi fosse anche un impianto di distillazione secca per la produzione di pece navale (pece nera) che veniva usata proprio per calafatare le navi.
La pratica della resinazione, in Valvestino come in altre zone d’Italia, è stata attuata sino agli anni Sessanta. Oggi i derivati della trementina si ottengono principalmente dal petrolio.
La pineta di Armo
La pineta che ammiriamo oggi ad Armo non risale ovviamente ai tempi della Serenissima. Si ritiene sia frutto di un rimboschimento effettuato dall’amministrazione austro-ungarica nei primissimi anni del Novecento (fino alla Grande Guerra la Valvestino fu territorio dell’Impero austro-ungarico).
L’abbandono dello sfruttamento del bosco – un male purtroppo diffuso sui nostri monti – sta peraltro mettendo a rischio questo luogo davvero suggestivo. Negli ultimi anni gli incendi hanno colpito duramente la pineta, che sta evolvendo piuttosto rapidamente verso una formazione mista. “E’ molto probabile – si legge ancora nel saggio di Nastasio – che tra qualche anno il pino sarà relegato ad un ruolo accessorio e l’origine artificiale del bosco diverrà illeggibile”.
Sarebbe imperdonabile non tutelare e disperdere il grande patrimonio rappresentato dai pini silvestri di Armo. Un tesoro non solo naturale, ma anche storico e culturale.