Qui tra le rocce e il cielo

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DESENZANO – Questa sera, venerdì 6 novembre alle 20.30, in scena nel salone “Gino Benedetti” del castello lo spettacolo teatrale “Qui tra le rocce e il cielo” dedicato al centenario della prima Guerra Mondiale. Ingresso libero.

Il Teatro Gavardo presenta Andrea Giustacchini in una rappresentazione dedicata alla Grande Guerra in montagna; testo di John Comin liberamente tratto dal libro di Maurizio Abastanotti «Del mio lungo silenzio»; musiche originali di Luca Lombardi; video di Sara Ragnoli; regia di Peppino Coscarelli.

Dopo le 70 repliche de “La guerra negli occhi” tratto dal libro (giunto alla terza edizione) “A chi dimanda di me” di Mauro Abastanotti (Liberedizioni), Andrea Giustacchini torna a raccontare la storia dei nostri soldati in quella catastrofe che fu la Grande Guerra.

Il racconto percorre tutti gli anni della guerra, da quando l’Italia era neutrale (1914) all’entrata in guerra, fino alla vittoria finale ed al ritorno a casa. Il protagonista della vicenda è un ragazzo delle nostre valli, che abita in un piccolo paese, lavora nei campi ed è innamorato di una ragazza. Quando viene arruolato nel Corpo degli Alpini, si trova in poco tempo a combattere la guerra in montagna: ogni cima, ogni ghiacciaio, ogni crepaccio, ogni roccia, sono una sfida assoluta: freddo intenso, fatiche inenarrabili, condizioni penose. I nostri alpini, caricati fino al limite delle forze, con marce di 15 ore, attraversano ghiacciai e salgono fino a quote di oltre 3000 metri, portando la paglia per dormire.

Il traino di un enorme cannone, la costruzione di gallerie nel ghiaccio, l’arrampicarsi sui ripidi canaloni della dorsale rocciosa, anche con scale, tra passerelle di corde sul vuoto, sotto il rombo dei cannoni e delle mitragliatrici degli austriaci in posizione più alta, dormendo all’addiaccio. Stare di guardia sulle vette, per di più mal ricoperti, è uno dei più duri sacrifici, soprattutto di notte e nelle albe gelide per la tormenta; quando i sensi sembrano impazzire davanti al vuoto e lo sguardo sembra non trovare un punto su cui posarsi…C’è poi l’insidia delle valanghe che in un attimo ti travolgono e ti seppelliscono.

Il nostro protagonista diventa innocente testimone della tragedia della guerra, combattuta con il sangue di tanti piccoli grandi uomini come lui. Entrambi gli eserciti sferrano attacchi dai promontori e dalle sporgenze rocciose, arrampicandosi e calandosi carichi di granate e bombe a mano da lanciare sui nemici. Intanto, il freddo, le slavine, le malattie e la fame proseguivano il loro lavoro uccidendo chi non moriva in altro modo. Morti inutili, condizioni penose. Per fortuna ha alcuni compagni d’arme con i quali condividere ogni giorno (che può essere l’ultimo), dividere il rancio, ed una lampada a petrolio in cui scrive commoventi lettere alla sua morosa, nel freddo delle notti trapuntate di stelle.

Ma c’è anche lo scambio di auguri con i nemici, poveri soldati travolti anche loro da quell’immane tragedia. E le lettere che non giungono, a causa della censura che stende un velo sugli orrori della guerra, enfatizzando solo gli eventi positivi. Lo spettacolo è liberamente ispirato al libro di Maurizio Abastanotti “Del mio lungo silenzio” (Liberedizioni), ma con rimandi a Lussu, Gadda, Ungaretti e a Remarque (l’autore di “Niente di nuovo sul fronte occidentale”).

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