SALÒ – Il prof. Pino Mongiello, già sindaco di Salò e presidente dell’Ateneo, vi invia la sue riflessioni sulla discussa mostra «Il culto del duce», in programma al MuSa. Eccole.
«Ormai non ci si dovrebbe più stupire se nel 2016 si realizza una mostra dal titolo “Il culto del duce”, e se questa mostra trova spazio nelle sale del MuSa, cioè a Salò, dove nel 1945 calò il sipario del regime fascista. Negli ultimi vent’anni sono avvenuti tali e tanti sdoganamenti ideologici, sono caduti molti inveterati pregiudizi che, almeno a parole, si può sostenere che il cittadino sia diventato più maturo. Per non perdere la memoria delle tragedie passate, si è persino creato un calendario nazionale di anniversari, un elenco di giornate “per non dimenticare”, in modo da poter confermare il detto che la Storia è maestra di vita. Non so se tutto questo sia stato fatto per mettere a posto la nostra coscienza.
Del resto, se penso che cosa è accaduto per decenni (e ancor oggi accade) a Predappio, paese natale di Benito Mussolini, dove la memoria è stata accompagnata dal “mercato”, e dove i souvenir del ventennio nero si sono sempre sprecati, con il tacito (o benevolo?) consenso delle amministrazioni rosse, non posso non riconoscere che a Salò, fino all’altro ieri almeno, si è tenuto un comportamento vigile e contenuto rispetto ai fatti della RSI, incline allo studio e all’approfondimento dei fatti più che all’esibizione di “reliquie e cimeli”.
A Salò non si è vissuto solo un periodo di dittatura ma anche di Resistenza. Qui sono avvenuti fatti di sangue che hanno lasciato un segno che, purtroppo, non trova riscontro nell’esposizione del MUSA inaugurata l’anno scorso proprio di questi tempi. Si diceva della mostra riguardante “Il culto del duce”.
I giornali hanno già rimarcato la gaffe commessa dal curatore Giordano Bruno Guerri, storico e giornalista di professione, per aver dimenticato che il giorno di apertura della mostra coincideva con l’anniversario di Piazza Loggia, a Brescia (tra i caduti di Piazza Loggia c’è anche il salodiano Vittorio Zambarda). Ma prendo atto che lo stesso Guerri si è scusato pubblicamente ed ha provveduto a spostare di un giorno l’apertura della mostra, aggiungendo che il previsto concerto col “violino della Shoà”, che avrebbe fatto da preambolo, sarebbe stato dedicato ai martiri di piazza Loggia.
Francamente trovo che già l’aver pensato di accostare uno strumento, che evoca orrore per la morte di milioni di innocenti, alla illustrazione del consenso del duce mediante i faccioni realizzati dagli artisti a lui coevi, sia cosa di cattivo gusto: diciamo che si presta, per lo meno, a valutazioni ambigue. In questa performance del violino della tragedia che cosa si voleva evidenziare? Si voleva esprimere un giudizio di merito? Si voleva mettere a confronto l’umiliazione tragica dei morti con la tronfia sfrontatezza di un duce in ascesa di consenso? Si voleva dire che per entrambi (i morti dei lager e il duce) è stata una tragedia? Ho l’impressione di trovarmi di fronte a una situazione liquida: da qualsiasi parte la si prenda, scivola; una cosa convive accanto all’altra in un accostamento amorale.
Ma poi, lasciatemi dire. Il violino viene suonato una volta sola, in quella specifica occasione. La mostra del duce continuerà invece per un anno, e farà da richiamo, cioè da specchietto per le allodole a un museo che sulla RSI dice poco. Il MUSA incasserà, non importa se solo con l’avere esposto le immagini del consenso del duce, mentre tacerà del declino del suo potere e sulla sua morte odiosa. Sarebbe così utile per tutti, invece, che si rifletta sulla nostra storia, tutta la storia, non solo su quella della trionfale ascesa di una dittatura ma anche sul suo fatale e inglorioso declino. In fondo, Salò è ben nota al mondo intero per i tragici epigoni del fascismo non per la fede popolare che arrivò a glorificare il duce».
Pino Mongiello
Foto sopra: Benito Mussolini a Gargnano ai tempi della Rsi.