CANALE DI TENNO (TN) – Alla Casa degli Artisti «Giacomo Vittone» nel borgo medievale di Canale di Tenno una mostra-omaggio alle storie degli artisti trentini che hanno intrecciato il mondo del naïf., un genere «in bilico», sospeso tra la cultura e il tempo.
Dal 24 luglio al 20 settembre «Naïf. Solitudini di colore» propone in mostra anche preziose opere della collezione del Museo nazionale delle Arti Naїves «Cesare Zavattini» di Luzzara, per un inedito viaggio dentro tante storie già lontane nel tempo. L’inaugurazione si tiene domenica 24 luglio con inizio alle ore 11, presenti Renzo Margonari (noto pittore, incisore, storico e critico d’arte, uno dei massimi esperti di naïf) e Simone Terzi (responsabile del coordinamento delle attività della fondazione «Un Paese» di Luzzara). La mostra sarà aperta tutti i giorni dalle 10 alle 18.30 (lunedì dalle 10 alle 12.30).
Una mostra ospitata da uno dei borghi più belli d’Italia, sul percorso inaugurato l’anno scorso da una mostra in omaggio di Cesare Zavattini. «Naïf. Solitudini di colore» – promossa dai Comuni di Tenno, Riva del Garda e Arco insieme al Servizio cultura della Provincia autonoma di Trento, per la cura di Roberta Bonazza e Franco Pivetti – è la restituzione dell’intreccio di alcune storie di pittori trentini che, grazie all’incontro con il Premio nazionale delle Arti Naïves di Luzzara, hanno potuto condividere il loro lavoro, trovare stimolo per continuare la loro esperienza artistica e godere di quella visibilità spesso negata ai pittori senza patria accademica. Per sottolineare un rapporto istituzionale e di amicizia tra Casa degli Artisti e la storia del Premio Naïves, saranno esposte per prime nel percorso alcune opere provenienti dalla collezione del Museo di Luzzara. Le storie degli artisti trentini presenti mostra sono raccolte in catalogo con interviste inedite.
Sono molti gli artisti trentini appartenenti al mondo variegato naïf che hanno conosciuto Zavattini attraverso la sua straordinaria avventura e scommessa del Museo Nazionale delle Arti Naïves di Luzzara, da lui fondato e a lui intitolato. Amedeo Marchetti, artista giudicariese, ricorda nell’intervista pubblicata sul catalogo della mostra le cene a mezzanotte dell’ultimo dell’anno con Zavattini e altri trentini come Sartori e Berlanda, a mangiare il maiale cucinato in diverse portate (la «maialata») mentre fuori la nebbia incombeva. Insieme a quelle di Amedeo Marchetti, in mostra opere di Silvana Groff, Anna Martani, Marco Berlanda, Andrea Fusaro e Orsolina Bugna, tutti passati da Luzzara. Con loro opere di Pietro Ghizzardi – una bellissima gatta vestita su fondale di stelle – Gino Covili – con il suo poetico «Cavallo morente» (foto sopra) – e Carmelina Alberino, prima opera vincitrice del premio, nel 1967, oltre a Norberto Proietti, Enrico Fereoli e Ferruccio Bolognesi.
Scriveva Cesare Zavattini: «A definire in modo esauriente la pittura naïve secondo me c’è riuscito chi è stato meno restrittivo. Io non sono mai caduto nel tranello di idoleggiare l’arte naïve chiudendola, ma ho sempre cercato di far capire che lì c’era chi valeva uno, chi due, chi tre, chi cento, e a mano a mano che i valori crescono, entrano nell’arte in generale, per cui ad un certo punto un quadro di un pittore naïf di valore è alla stessa altezza di un quadro di valore di altre definizioni.»
Ma il tema resta aperto. Per questo il percorso inizia con l’opera di Carlo Sartori «La scampagnata», vincitrice del premio di Luzzara nel 1973, ma il cui autore a distanza di dieci anni con una lettera al presidente del premio datata ottobre 1983 declina l’invito all’esposizione, riconoscendola come un passaggio importante nella sua esperienza artistica, che però lui vede collocata al di fuori delle etichette di settore. Forse anche per colpa, come ben scrive Simone Terzi, di quella «pletora di manifestazioni e di falsificazioni che tra gli anni Settanta e Ottanta ha compromesso il linguaggio naïf». E che certo non ha aiutato la visione illuminata di democratizzazione dell’arte che Zavattini nutriva nel profondo. Le parole di Carlo Sartori mantengono aperto un tema, comune a tutte le espressioni irregolari, che lui indica nella sua lettera come la possibilità di considerarsi «un artista a tutti gli effetti», pronto al confronto infinito di linguaggi che il mondo dell’arte dovrebbe saper esprimere. Naturalmente nelle sue eccellenze.
La scelta di iniziare il viaggio verso Luzzara partendo da lui è un modo per significare l’importanza di quel primo incontro emiliano, che s’immagina importante per uscire dal piccolo paese, per incontrare un altrove, per farsi cucire dal sarto una camicia nuova e partecipare alla ritualità spontanea e conviviale delle notturne inaugurazioni luzzaresi. Una ritualità certamente lontana dal quotidiano di Carlo Sartori, fatto di silenzi, di natura e di lavoro pittorico. Partire da lui, che vive i primi anni del Premio Naïf e poi trova la sua strada, è altresì un modo per seguire le tracce alla ricerca di altri artisti trentini che hanno percorso il viaggio verso il piccolo paese della pianura divenuto, grazie alla volontà di Cesare Zavattini, un approdo, una casa, un luogo di incontro e di visibilità per pittori senza patria accademica.
Tutte le storie degli artisti presenti mostra, raccolte in catalogo con interviste inedite, hanno in comune la formazione autodidattica e l’approdo ad una compiuta personalità pittorica, sempre diversa. «Solitudini di colore», appunto, per sottolineare da una parte una solitudine culturale che in questo momento storico è ancora più marcata. A distanza di quasi cinquant’anni dalla fondazione del museo di Luzzara, che ha funzionato da luogo di incontro, i naïfs così definiti sono facilmente risolti nell’idea di un’ingenua rappresentazione del passato, di una figurazione che si spiega da sé, tralasciando così la possibilità di un dialogo senza pregiudizi, con l’intensità delle sedimentazioni affettive, con la forza del colore, gli orizzonti poetici ed estetici, pur nella chiarezza delle immagini. Dall’altra «Solitudini di colore» rimanda a mondi solitari, lontananze contemplative, visioni molto personali, che nel caso degli artisti trentini intervistati sono spesso felici nella loro espressione cromatica e compositiva, quasi che la pittura – semmai venga a soccorrere qualche percorso biografico fuori dal comune – vada a pescare nella parte più luminosa della tavolozza dell’anima.