LIMONE SUL GARDA – Cento anni fa, l’11 settembre 2016, tutti gli abitanti di Limone, zona di operazioni belliche, vennero evacuati. 144 limonesi furono profughi per oltre due anni.
L’ordine di sgombero arrivò il 9 settembre 1916. Due giorni dopo, l’11 settembre, la sera verso le 21, il piroscafo Italia (sopra, in una cartolina d’epoca) lasciò il pontile di Limone portandosi via tutti gli abitanti rimasti in paese – 49 famiglie composte da 144 persone (46 uomini, 52 donne, 46 fanciulli) – con destinazione Maderno e Gardone Riviera.
Per oltre due anni, fino al 17 dicembre 1918, i limonesi furono profughi, costretti a lasciare case e campi, situati in zona di confine e quindi teatro di operazioni belliche.
Questa pagina triste della storia limonese, di cui ora ricorre il centenario, è rimasta ben impressa nella memoria collettiva della gente, tanto che il triste evento sarà ricordato nelle prossime settimane con alcune iniziative in programmazione (una serata teatrale, una conferenza, una mostra fotografica). Fu un esilio collettivo forzato, ricostruito anni fa da Mario Trebeschi e Domenico Fava nel loro documentatissimo libro «Limone sul Garda. Il territorio, la società, l’economia d’un borgo dell’Alto lago».
Cento anni fa a Limone rimasero solo i militari di stanza nei posti di osservazione avanzata e alle postazioni dei cannoni e dei pezzi d’artiglieria. Per due anni i limonesi continuarono la loro vita, tra molte difficoltà, nei paesi rifugio: Gardone e Maderno soprattutto, ma anche Gargnano, Tignale e Tremosine. Anche le istituzioni limonesi si trasferirono a Gardone. «A villa Rhuland – scrivono Fava e Trebeschi – fu stabilita la sede municipale; vi abitavano il sindaco Battista Dalò, gli assessori e il segretario. Vi era anche il parroco, che celebrava nella chiesetta di Gardone Sotto. I ragazzi frequentavano le scuole di Gardone. Gli adulti si occupavano di mestieri di fortuna». Di tanto in tanto i limonesi potevano tornare al paese grazie a speciali permessi delle autorità militari, per provvedere alla raccolta dell’uva e delle olive: «Sbarcavano di notte dal Concordia, un vaporetto basso, l’unico mezzo di trasporto tra il paese e il medio lago. Spesso si effettuavano i lavori agricoli tra il sibilo dei proiettili».
Durante lo sfollamento tra i limonesi si registrarono 6 nascite, 7 morti e un matrimonio. Non mancarono casi curiosi: «Per riconoscenza dell’ospitalità – si legge nel volume di Fava e Trebeschi – si imposero nomi inconsueti ai neonati Fava Maderno e Montagnoli Maderno, nati il 9 e 14 ottobre 1916. Maria Dalò ebbe pure il nome di Rulanda, per essere nata a Villa Rhuland di Gardone. Giuseppe Segala, ciabattino, si trovò talmente bene a Maderno da rimanervi fino al 1935». Gli altri profughi, invece, terminata la guerra, tornarono il 17 dicembre 1918 in un paese devastato: case rovinate, giardini incolti, olivi in abbandono, animali scomparsi, porto e pontile fuori uso.
Uno dei primi atti del Consiglio comunale (29 dicembre 1918) fu la nomina di una commissione per le richieste di risarcimento danni. Si ottennero sussidi governativi (168.921,52 lire), ma per ripartire i limonesi dovettero rimboccarsi le maniche. Ora, un secolo dopo, ci si appresta a fare memoria dell’esodo del 1916.