L’umana tragedia di Giovanni Battista Cipani
SALO' - Sabato 3 marzo alle 10 in Sala dei Provveditori l'Ateneo di Salò presenta il poema fatidico "L’umana Tragedia". Occasione per riscoprire la figura di Giovanni Battista Cipani.
Interviene il prof. Ermanno Paccagnini dell’Università Cattolica; letture di Andrea Manni. L’ingresso è libero.
Biografia di Giovanni Battista Cipani. Nasce a Fasano del Garda da Giovanni e da Catterina Cipani, il 28 aprile 1852. Rimasto orfano di padre nel 1863, terminata la scuola elementare, si iscrive, con poca convinzione, a quella Tecnica. Lasciati gli studi, nel novembre del 1866 decide di entrare in Seminario, ma spaventato dalle rigide regole lo abbandona ben presto. E’ per Giovanni Battista un periodo di profondo disorientamento.
Corre l’anno della terza guerra di indipendenza e il giovane è preso da entusiasmo patriottico: fa carte false pur di arruolarsi, a fianco dei volontari garibaldini. Rifiutato, si dedica all’assistenza agli ammalati e feriti di guerra che, in più di trentamila, riempiono la città di Brescia e i luoghi della Valle Sabbia e delle Giudicarie.
Dopo l’«Obbedisco!» dell’eroe dei due mondi, rientra sui banchi di scuola e conclude il ciclo didattico con l’attestato di prima eminenza, nel 1869.
Lunghe e profonde letture di carattere morale lo indirizzano verso una nuova strada, assai diversa da quella che gli studi compiuti lo avrebbero potuto portare: quella del sacerdozio. Per Giovanni Battista inizia un nuovo capitolo di vita nel seminario cittadino: tra declinazioni dei verbi in latino, preghiere e studi teologici. Approfondisce, con acribia, la conoscenza della Sacra Scrittura, ma anche della Divina Commedia, opere che considera il sacrario dell’umano sapere. E che gli ispirano il poema L’Umana Tragedia.
Conclude il terzo corso di teologia, ma il Vescovo esprime un categorico, inaspettato giudizio: ritiene che «diventare sacerdote» non sia la vera vocazione del giovane gardesano e gli propone altri percorsi verso il bene sociale e l’insegnamento ai fanciulli.
Pur continuando a scrivere numerosi testi d’ispirazione morale (l’interesse alla figura e all’opera di Silvio Pellico gli fa da guida), il Cipani si dedica con gran forza d’animo agli studi pedagogici ed ottiene l’abilitazione a insegnare nelle Scuole Normali Superiori.
Gli è affidata la direzione delle Scuole Benamati di Maderno, tra le più qualificate del momento, dove si rivela straordinario educatore. Convinto che «l’educazione non crea, ma rigenera poiché ella sola dà vita e civiltà, in nome della Fede e della Libertà», divulga il suo pensiero attraverso decine e decine di saggi in volumi, articoli in rivista e quotidiani come «Il Cittadino di Brescia».
La sua fama non si limita al territorio lombardo. Nel pieno della sua fatica madernese è chiamato nel Veneto, a Schio, dal senatore Alessandro Rossi per svolgere il compito di direttore generale del complesso educativo-scolastico che raccoglie oltre un migliaio di bambini e bambine, tutti figli di operai della sua potente e imponente industria laniera, che diverrà poi «Lanerossi-Vicenza», oggi «Marzotto».
Consolida quanto già creato dall’imprenditore e fa costruire un Convitto, una Scuola di pomologia, dà origine a nuove attività parascolastiche di laboratori, di centri per il tempo libero, per attività sportive, musicali e teatrali. Secondo Cipani «il miglior sistema pedagogico, generalmente parlando, è quello che è più consentaneo allo sviluppo naturale delle facoltà umane; educazione e autoeducazione sono principi che devono coniugarsi nel lavoro, il quale costituisce l’anello di congiunzione tra scuola e officina. Ciò che conta è formare menti libere, capaci di avvertire e seguire le proprie attitudini, di penetrare nella realtà delle cose, di procedere con nesso logico e con fermezza d’intenti, capaci di non perdere di vista l’ordine morale, il precetto della virtù e del dovere».
Giovanni Cipani, che a Schio forma una famiglia sposando Giuseppina Troffelli, dalla quale ha quattro figli, lascia la cittadina veneta nel 1891 e si ritira a Torino, dove si trova in sintonia con il clima sociale e culturale. Abbandona la scuola per dedicarsi, con la grande passione che lo contraddistingue, all’editoria scolastica.
Muore nel 1893. Per sua scelta è sepolto nel cimitero maggiore della città piemontese, accanto alla tomba di Silvio Pellico.
L’umana Tragedia – Poema fatidico
Opera scritta da Giovanni Battista Cipani poco più che ventenne, riveduta negli anni Ottanta, è stampata per la prima volta a Torino, dalla tipografia Giulio Speirani, nel 1885.
Nel 2017 è riproposta dal prof. Fausto Cipani, l’edizione anastatica, curata da don Antonio Fappani, introdotta da Ermanno Paccagnini e pubblicata dalla Fondazione Civiltà Brescia.
E’ un’epopea che consiste in 25 canti, denominati «Notti» in quanto si narrano visioni notturne, che constano, tranne la prima, di 1000 terzine dantesche. Il testo, peraltro, è quanto mai ricco di calchi danteschi: talora letterari, ma assai spesso con versi e ben note espressioni della Commedia riformulate in una sintassi moderna, sciolta, con rare inversioni.
Come scrive Ermanno Paccagnini nella sua introduzione: «Quanto al titolo Cipani ribalta quello tradizionale di «Divina Commedia», affidando il contenuto all’aggettivo “fatidico”, assunto nel significato che si legge nel Dizionario della Lingua italiana di Niccolò Tommaseo “che dice quel ch’è ne’ fatti. Che annunzia l’ignoto. Fatidici diconsi coloro che sogliono, divinando, dire le cose future”. Un viaggio quindi non nell’oltretomba, ma in un possibile futuro, nel quale il poeta narratore ha quale guida Dante Alighieri».
I commenti sono chiusi.