Riceviamo da Paolo Canipari dell’Anpi di Salò (ora, assieme ad altre sezioni del comprensorio) Anpi Medio Garda, questa nota.
“Il 27 gennaio, Giornata della Memoria – scrive Canipari – vede ancora una volta l’Amministrazione comunale di Salò assente o quasi su tangibili iniziative che possano dare significato a tale data. Infatti, solo una incomprensibile serata a ricordo di un un alchimista, ingegnere.. ebreo vissuto nel 1500, un tal Abramo Colorni, compare nelle locandine della programmazione salodiana (qui sotto).
“L’Anpi di Salò e del Medio Garda, assieme all’Aned provinciale – continua Canipari – viceversa, non dimenticano il sacrificio di 6 salodiani morti nei lager nazisti, in Germania, colpevoli solo come militari di non voler aderire alla cosiddetta Repubblica di Salò (Abeni M. , Boninsegna A., Ferrari A. e Ferrari B., Lazzarini G. e Perotti P.) e depositeranno un ricordo floreale presso il Monumento alla Resistenza, al Parco Ebranati a Salò.
Poi, in forma altrettanto ufficiale, si invita la popolazione a presenziare, nella frazione di Barbarano a commemorare la figura del cittadino salodiano Massimo Lowy, ebreo deportato ad Auschwitz e ivi assassinato, presso la ” Pietra di inciampo” deposta nel 2016 in Via Rive Grandi 13.
Il ricordo di Massimo Lowy è in programma domenica 27 alle 10.30, con ritrovo al parcheggio Barbarano a fianco palazzetto sport, poco distante dalla pietra d’inciampo che lo ricorda, sulla quale c’è scritto: “Salò, via Rive Grandi 13. Qui abitava Massimo Lowy, nato nel 1880, arrestato 2.12.1943, deportato nel 1944 ad Auschwitz, assassinato”.
Massimo Lowy, ebreo austriaco, figlio di Giuseppe e di Elena Tieder, nacque il 27 settembre 1880 a Ostrava in Moravia (oggi Repubblica Ceka, ma all’epoca città dell’Impero Austro Ungarico). Si fece battezzare nella Chiesa protestante nel 1905, sposò l’anno dopo Berta Meyer, tedesca “ariana”, originaria di Francoforte. Fu residente a Gardone Riviera fin dal 1906, dove gestiva un negozio di articoli da regalo in corso della Repubblica 59. Nel 1936 si trasferì a Salò, in via Barbarano 84 (ora via Rive Grandi 13), in un “fabbricato di piani 4 e vani 12 [ … ] di nuova costruzione”, dove aprì un salone di parrucchiere.
Dal matrimonio nacquero a Gardone Riviera le figlie Carola ed Helene, rispettivamente il 29 settembre 1914 e il 25 febbraio 1916. Avendo padre ebreo e madre ariana, le due ragazze furono considerate di discendenza “mista” secondo le leggi razziali del 1938, e per questo fu negato a Carola il matrimonio con il bresciano Cesare Profeta, cattolico e di “razza ariana”.
La condizione degli ebrei in ltalia si aggravò ulteriormente dopo la costituzione della Repubblica Sociale ltaliana, tramite l’ordinanza di polizia n° 5 del 30 novembre 1943: si disponeva che “tutti gli ebrei. (…) a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI”.
Massimo Lowy e le figlie Carola ed Helene furono quindi arrestati a Barbarano di Salò dalle forze dell’ordine italiane il 2 dicembre 1943 e detenuti nel carcere locale. All’arresto seguì l’inventario dei beni, il loro sequestro e la successiva confisca. In data 1 febbraio 1944 Massimo Lowy inoltrò un’istanza dal carcere di Salò al capo della Provincia perchè gli fosse risparmiata la deportazione facendo leva sull’età avanzata (64 anni) e sul fatto di essere residente in ltalia da 38 anni. Da documenti successivi e da un’informativa del Comune di Salò si evince che Massimo Lowy godeva di una buona reputazione, come si legge qui: “Pur appartenendo alla razza ebraica, ha sempre tenuto ottima condotta civile e politica, ed era iscritto al fascio“.
La sua richiesta non ebbe però seguito. Recluso nel frattempo nel carcere di Canton Mombello a Brescia, il 6 febbraio fu trasferito al campo di Fossoli. Da li il 22 febbraio 1944 fu deportato ad Auschwitz; vi arrivò il 26 febbraio con lo stesso trasporto di Primo Levi.
L’immatricolazione nel lager è dubbia e nel “Il libro della memoria” di Liliana Picciotto risulta “deceduto in luogo ignoto e dato ignota”. Le figlie Carola ed Helene furono rilasciate il 21 gennaio 1944, in seguito all’intervento della madre presso le autorità tedesche. Dopo la confisca dei beni paterni la signora Berta Lowy e le figlie, rimaste prive di risorse economiche, presentarono ricorso; la richiesta fu sottoposta a un lungo iter burocratico e sembrò avere esito positivo solo nei primi mesi del 1945. Carola ed Helene continuarono ad abitare a Salò anche dopo la guerra. La prima mori il 27 marzo 1975, la seconda visse a Barbarano fino al 1992 per poi trasferirsi nella casa di riposo salodiana dove morì il 4 febbraio 1999.