Trama: New York, 1962. Il locale dove l’italoamericano Frank “Tony Lip” Vallelonga lavora come buttafuori chiude per restauro e lui ha bisogno di trovare un lavoro per mantenere la famiglia.
Verrà assunto come autista del “dottor” Don Shirley, un pianista afroamericano che deve fare una tournée negli Stati del Sud. I due caratteri non potrebbero essere più diversi ma il viaggio è sempre un’occasione di conoscenza e di cambiamento….Ispirato a una storia vera.
Critica: A volte non bisogna andare lontano per trovare un buona storia da raccontare.
Il figlio di Frank “Tony Lip” Vallelonga , l’attore, produttore e regista Nick Vallelonga, non ha dovuto far altro che attingere ai ricordi di suo padre, alle lettere, parlare con i vecchi amici di famiglia, per costruire un’avventura on the road ambientata nei mitici anni ’60, ammantata di leggenda, come doveva essere apparsa ai suoi occhi di bambino quando il padre gli raccontava di quel viaggio di due mesi insieme ad un famoso pianista afroamericano che, come un re delle fiabe, abitava un lussuoso appartamento sopra la Carnegie Hall.
Pur toccando argomenti drammatici (le leggi razziali e la segregazione, ricordiamo che il titolo si rifà ad una pubblicazione dell’epoca, “The Negro Motorist Green Book”, che indicava ai viaggiatori afroamericani esercizi commerciali “amichevoli”) il film di Farrelly rimane quindi aggrappato ad un immaginario ottimista e leggendario, complici anche la minuziosa ricostruzione scenografica, autentica quintessenza del periodo, e la fotografia, calda e rassicurante.
La parola chiave per definire questa storia è appunto rassicurante, come la musica suonata da Don Shirley, che lui stesso non voleva fosse definita jazz (ed era sicuramente di difficile classificazione), che pare esaurirsi tutta nel virtuosismo interpretativo, proprio come la performance di Viggo Mortesen che, trasformista come sempre, si cala con coraggio nei panni di un italoamericano sovrappeso e grossolano.
Forse qualche stereotipo sugli italiani avrebbero potuto risparmiarcelo, magari anche solo la chitarra abbandonata in un angolo del salotto, ma il suo “duro-dal-cuore-tenero” è una perfetta spalla per il compassato e gelido musicista che nasconde un’immensa solitudine e qualche segreto privato.
Sullo schermo la “Strana coppia” funziona sempre, il viaggio catartico anche: da “Una poltrona per due” passando per “A spasso con Daisy” fino a “Quasi amici”, il tema è stato trattato innumerevoli volte. Rispetto ai soliti cliché qui però i ruoli si ribaltano, il bianco è rozzo e ignorante, il nero raffinato e colto, ed uno dei livelli un po’ più profondi del film è proprio la difficoltà di accettare questo ribaltamento di ruoli, da entrambe le parti, come nella bella scena in cui dei braccianti neri smettono di zappare la terra per osservare silenziosi ed attoniti quell’uomo ben vestito, raggomitolato sul sedile posteriore della sua elegante vettura guidata da un bianco in evidente condizione di inferiorità.
Ma anche Don Shirley in quella scena li osserva e sa di non appartenere più a nessuno dei due mondi.
Ecco allora forse che, al di là del tema del razzismo, che in fin dei conti ci appare trattato in modo un po’ edulcorato, facendo ricorso ad aneddoti purtroppo tristemente risaputi (l’artista nero che viene applaudito sul palco ma non può usare il bagno dei bianchi o mangiare nel loro stesso ristorante), emerge una questione più autentica e sincera, un po’ come accade nei brani “difficili da suonare, facili da ascoltare” di Don Shirley in cui sfuggono guizzi improvvisi di quella musica senza compromessi a cui l’autore aveva rinunciato, quell’impossibilità dolorosa di appartenere al mondo da cui si proviene ma da cui (per esperienze di vita, per crescita personale) si è irrimediabilmente separati e quello nuovo, a cui si aspira ma che ancora ci respinge: “Se per te non sono abbastanza nero e per loro non sono abbastanza bianco, se non sono abbastanza uomo, allora, dimmi, chi diavolo sono io?“
La sceneggiatura sceglie di non andare a fondo in questo dolore e si comporta da brava favola di Natale, eppure questa frase, gettata come un sasso in un stagno, allarga le sue onde e lascia una scia che ci fa intravedere ben altra profondità, al di là di comode soluzioni acchiappa-Oscar, un po’ come la musica apparentemente “facile” del fino ad oggi trascurato Don Shirley, che probabilmente merita un secondo, più attento, ascolto.
Camilla Lavazza
GREEN BOOK – LA SCHEDA
Regia PETER FARRELLY
Sceneggiatura NICK VALLELONGA, BRIAN CURRIE,
PETER FARRELLY
Interpreti e personaggi
VIGGO MORTENSEN Tony Lip
MAHERSHALA ALI Don Shirley
LINDA CARDELLINI Dolores
SEBASTIAN MANISCALCO Johnny Venere
DIMITER D. MARINOV Oleg
P.J. BYRNE Produttore
DON STARK Jules Podell
BRIAN STEPANEK Graham Kindell
IQBAL THEBA Amit
TOM VIRTUE Morgan Anderson
NICK VALLELONGA Augie
JOE CORTESE Joey Loscudo JENNA LAURENZO Fran Venere
PAUL SLOAN Carmine ANTHONY MANGANO Danny
DAVID KALLAWAY Ray DAVID AN Bobby CRAIG DIFRANCIA Dominic
Fotografia SEAN PORTER Scenografie TIM GALVIN
Costumi BETSY HEIMANN Montaggio PATRICK J. DON VITO MusicheKRIS BOWERS
Prodotto da JIM BURKE, CHARLES B. WESSLER, BRIAN CURRIE, PETER FARRELLY, NICK VALLELONGA Produttori esecutivi JEFF SKOLL, JONATHAN KING, OCTAVIA SPENCER, KWAME L. PARKER, JOHN SLOSS Case di produzione DREAMWORKS, PARTICIPANT MEDIA, AMBLIN PARTNER, ISINNISFREE PICTURES, WESSLER ENTERTAINMENT
Durata 130 min
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