Il caso del suonatore nella notte: in libreria il settimo romanzo del ciclo del giudice Albertano
E’ in libreria «Il giudice Albertano e il caso del suonatore nella notte» (Liberedizioni, 168 pagine, 15 euro), il settimo romanzo di Enrico Giustacchini con protagonista il detective ispirato alla figura del magistrato, diplomatico e scrittore medievale bresciano.
Si tratta, come i precedenti, di un giallo, ambientato naturalmente all’epoca in cui è vissuto il “vero” Albertano, ossia nel XIII secolo.
La vicenda si svolge nell’estate del 1248. In una notte di luna piena, Rambaldo, mercante di spezie a riposo, viene pugnalato a morte nella sua dimora sepolta tra i campi e i boschi di Rodengo. Da una finestra della casa di fronte, il vecchio studioso Giona assiste al delitto senza nulla poter fare per impedirlo.
Di una cosa, però, il testimone è certo: l’assassino non è un uomo in carne e ossa, ma un automa, prodigioso e spietato.
I sospetti cadono subito su mastro Adamo, un abilissimo artigiano che da tempo si dedica alla fabbricazione, appunto, di automi, sulla base degli insegnamenti contenuti nel Libro della conoscenza degli ingegnosi dispositivi meccanici dell’arabo al-Jazarī.
Albertano, chiamato a investigare in compagnia del fedele Berengario, non è però convinto che le cose siano andate davvero così. Ecco dunque per lui un altro oscuro enigma da affrontare, un’altra difficile sfida da vincere, come sempre, con la limpida forza della ragione.
Il nuovo romanzo di Enrico Giustacchini, ricco di suspense e colpi di scena, è calato in un contesto ricostruito con accuratezza, poggiandosi su meticolose ricerche documentali che conferiscono all’opera, pur nella cornice letteraria, una patente di assoluta plausibilità.
Il lettore ha così l’opportunità di compiere un viaggio affascinante dentro gli aspetti meno noti della cultura medievale (a cominciare dalla riscoperta di una figura straordinaria quale al-Jazarī), per proseguire poi immergendosi nel clima degli eventi, tra le furiose lotte intestine delle fazioni che si contendevano il potere nel territorio bresciano e le accuse di corruzione e simonia che investivano, all’epoca della narrazione, i monasteri cluniacensi lombardi, primo fra tutti proprio quello di Rodengo.
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