Trama: La piccola Mona è arrivata dalla Costa d’Avorio con la madre nella città costiera di Tipasa, in Algeria, ed è costretta a mendicare per guadagnare i soldi che le permetteranno di raggiungere il padre in Italia. Mona però preferisce vendere fiori tra le rovine della necropoli romana, andando in tal modo ad occupare il territorio di Said, un ragazzino algerino che vive di espedienti. L’iniziale ostilità tra i due si trasformerà in una ardente amicizia.
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Critica: Questo piccolo e poetico film, toccante come una novella di Dickens, ha una forza straordinaria, la forza di chi non si arrende mai, la forza, come scriveva Albert Camus, di scoprire in se stessi un invincibile amore, un’invincibile poesia, un’invincibile tranquillità, un’invincibile estate, anche quando si ha tutto il mondo contro.
E ancora di Camus è la frase riportata sulla stele di pietra posta nella necropoli di Matares, (“Qui capisco cosa chiamiamo gloria, il diritto di amare senza misura”) che sovrasta il panorama, di una bellezza mozzafiato, della collina dedicata a Santa Salsa (una ragazzina martire cristiana nel IV secolo d.C.) in cui si aggirano questi bambini sfruttati da adulti disumani, mostrati solo di sfuggita nel loro indifferente e crudele egoismo.
Questi bambini perduti non hanno tempo di ammirare il paesaggio (ma Mona porta sempre con sé il suo caleidoscopio, anche se noi non vediamo mai attraverso di esso e possiamo solo immaginarne i colori) ed i fiori li raccolgono e li vendono per sopravvivere, si sfidano tra loro in giochi in cui si rischia sempre la vita, unica cosa che possiedono, eppure hanno ancora l’innocenza di considerare il denaro solo un mezzo (“Ho fatto un sacco di soldi” – dirà Mona all’amico Said – “ora abbiamo il tempo per giocare”) carta buona per farci aeroplanini.
Il regista Mohamed Rachid Benhadj utilizza con ponderazione e parsimonia ogni elemento, dalla luce creata da suo figlio Karim Benhadj (una pennellata gialla su un muro, le candele che rischiarono la tomba dove Mona ha costruito con ciò che trova sulla spiaggia la sua cappella a Gesù) alla musica (il canto potente che irrompe a sottolineare con efficacia alcuni momenti), inizia dal realismo di immagini documentaristiche e desaturate per esplodere nella luce e nei colori abbaglianti del verde della vegetazione e del blu del mare tra le rovine di pietre rosse, quasi un sogno ad occhi aperti, un “paradiso” in cui Mona saltella con le sue corone di fiori, raccontandosi delle storie su Adamo, il primo uomo, cacciato proprio dal paradiso per patire sulla terra, in cui ritrova le sofferenze del padre migrante in Italia.
La straordinaria Dorian Yohoo, che interpreta Mona, ha una vitalità intensa e struggente, che ricorda quella di Quvenzhané Wallis in “Re della terra selvaggia”, dai suoi occhi immensi però traspare la consapevolezza di una bambina che ha già visto troppo per essere ancora ingenua, anche se ha ancora tanta voglia di giocare e di farsi degli amici.
Mona ha la grazia di una farfalla e l’eleganza di una principessa, e come una principessa si incorona di fiori che vende con garbo ai turisti che visitano la necropoli.
Said ha in sé una forza dolorosa e distruttrice, è poco più grande di lei e non potrebbero essere più diversi: lei cristiana, lui musulmano, lui spavaldo, lei timida e gentile, i fiori li dividono e poi li uniscono in un’amicizia tenera e invincibile.
Non è possibile svelare il dramma che ad un certo punto vedrà coinvolti i due bambini, ma il pianto sommesso di Mona, che ripete ossessivamente una parola nella sua lingua natia, come il pigolio di uccellino atterrito, è una delle scene più commoventi che si siano viste sullo schermo in questi anni ed arriva dritta al cuore.
Matares è un film emozionante e diretto che ci presenta senza retorica il dramma umano dei migranti, mostrandoci le vittime più innocenti e deboli, i bambini, confinati in un lembo di terra affacciato sul mare come sulla soglia di una vita che promette senza mantenere, da cui sperano di fuggire rischiando sempre di essere respinti indietro.
Ispirata, come si legge nei titoli di coda, dal dramma dei 13.000 emigrati africani respinti dall’Algeria negli ultimi due anni, Matares è una storia d’amicizia che spalanca il cuore ed dalla quale è impossibile non farsi coinvolgere.
(Camilla Lavazza)
Anno 2019
Regia sceneggiatura e montaggio
Mohamed Rachid Benhadj
Interpreti e personaggi:
Dorian Yohoo (Mona)
Anis Salhi (Said)
Hacene Kerkache (Djaffar)
Kobe Alix Hermann (Cedric)
Rebecca Yohoo (madre di Mona).
Musiche:Said Bouchelouche, voce cantata Teety Tezano
Direttore della fotografia: Karim Benhadj
Suono: Nadia Paone – (mixer)
Prodotto da Nour Film (Algeria) Nadir e Rachid Benhadj, Laser Film (Italia)
Durata 90 minuti
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