Quanto sorprese continua a riservarci l’area archeologica del Lucone, a Polpenazze, inserita nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco nell’ambito del sito seriale transnazionale «Siti palafitticoli preistorici dell’arco».
Tra le ultime scoperte della campagna di scavi 2020, chiusa venerdì 28 dopo una mese di lavoro e tante sorprese, una porta in legno del 2034 a.C con asole e chiavistelli (nella foto sopra): una delle porte in legno più antiche mai trovate in Italia.
Il Lucone non smette mai di sorprendere e continua a regalarci manufatti. Tanti i reperti portati alla lucen quest’anno: un boccale, una bellissima perlina di faience, un rarissimo esempio di tazza di legno, in parte carbonizzata.
Tre le sorprese un omero di bambino trovato all’interno di vaso di terracotta, forse quello di Laury, di cui l’anno scorso era stato ritrovato il cranio (leggi qui).
Di giorno in giorno, mentre la campagna proseguiva, i responsabili degli scavi, gli archeologi del Museo della Valle Sabbia, sotto la direzione di Marco Baioni e di Annalisa Gasparetto della Soprintendenza, hanno postato sulla pagina Facebook degli scavi le foto delle loro scoperte: un bel canino di orso, una splendida immanicatura in legno per ascia in rame, vasi in ceramica, strumenti in selce e osso…
Come detto la campagna 2020 è conclusa, ma il sito resta aperto ancora per qualche giorno. Venerdì 4 settembre, alle 15, ultima visita guidata della stagione (è necessario prenotare chiamando il numero 0365.371474 dal lunedì al venerdì, 9-12).
Domenica 6 chiusura delle attività con una festa di archeologia sperimentale, con dimostrazioni di lavorazione della selce, fabbricazione utensili e punte di freccia.
Leggiamo sul sito del Museo Archeologico della Valle Sabbia: «Le nuove ricerche che il Museo Archeologico della Valle Sabbia ha intrapreso a partire dal 2007, in concessione ministeriale e con il sostegno finanziario di Regione Lombardia e dei comuni di Gavardo e di Polpenazze del Garda, hanno tralasciato al momento il sito più grande (Lucone A) per concentrarsi sul Lucone D, un sito più piccolo, identificato nel 1986 con un piccolo saggio esplorativo.
Si è scelto di scavare un sito meno complesso di Lucone A per avere la possibilità di indagarne un’ampia porzione per cercare di ricostruire le caratteristiche dell’abitato, di definire la forma e l’ampiezza delle case e le dinamiche di fondazione, sviluppo e infine di abbandono.
Da quello che finora conosciamo, la storia del Lucone D inizia un giorno del 2034 a.C. quando un gruppo di uomini sceglie di abbattere querce centenarie per costruire un nuovo villaggio. Da ogni tronco vengono ricavati anche più pali di notevole lunghezza, i quali vengono infissi nei limi lacustri per sorreggere gli impalcati lignei delle case, costruite direttamente sull’acqua.
Il villaggio in seguito si sviluppa e in mezzo ai pali di sostegno delle case inizia a formarsi un deposito prodotto dai materiali che cadono o vengono buttati dagli impalcati: si formano i livelli ricchi di elementi vegetali e di materiali organici che caratterizzano la parte più bassa della stratigrafia. In questi strati la forte umidità ha preservato dal tempo molti materiali deperibili: strumenti agricoli in legno, tessuti in fibra di lino, frutti e semi.
A un certo punto, in un momento che non siamo ancora in grado di datare con precisione, il villaggio prende fuoco. L’incendio fu molto intenso e devastante e gran parte delle strutture abitative crollarono nell’acqua. Ciò è evidenziato dalle numerose assi e travi che formavano l’alzato rinvenute semicarbonizzate, poiché una volta incendiatesi erano cadute nell’acqua, spegnendosi. Tra gli elementi di legno semicarbonizzati crollati per l’incendio vi sono quindi molti elementi strutturali appartenenti all’alzato delle case e al tetto, come il celebre elemento di solaio rinvenuto nel 1986.
Passato un certo tempo dalla tragedia, il popolo del Lucone decide di rifondare un nuovo villaggio e in questo momento si colloca un episodio veramente commovente: forse come rito di fondazione per augurare maggior fortuna a questo nuovo insediamento viene posto sul fondo del lago il cranio di un bambino di tre/quattro anni, trovato coperto da cortecce probabilmente appartenenti ai nuovi pali messi allora in cantiere.
Dal punto di vista cronologico l’individuazione di oltre una decina di episodi di abbattimento dopo quello del 2034 a.C. ha reso complesso lo studio delle fasi di vita di questo insediamento e in particolare al momento non è ancora stato possibile identificare la fase costruttiva da mettere in relazione con la ricostruzione che ha seguito l’incendio, ma sappiamo comunque che l’ultimo abbattimento di alberi è databile al 1969 a.C.
Questo nuovo villaggio ha avuto sicuramente una vita più lunga e prospera del precedente, almeno a giudicare dal maggior spessore e dalla particolare ricchezza dei depositi che si sono formati alla base della palificata.
Dai livelli delle varie fasi del sito proviene una quantità impressionante di frammenti ceramici, se non di vasi interi, appartenenti a varie tipologie: si va dai recipienti da mensa per mangiare e bere (tazze, ciotole e boccali) o per servire e conservare bevande (anfore) a quelli per cucinare (scodelle e vasi troncoconici) fino ai grandi vasi per conservare derrate alimentari di vario tipo (orci e dolii). Sono inoltre testimoniati strumenti per la filatura e la tessitura (Fusaiole in terracotta e pesi da telaio in gran parte in argilla cruda), nonché un’interessante collezione di frammenti di tessuto di lino.
Pochi ma preziosissimi sono gli oggetti in metallo: asce, spilloni, lesine e lame di pugnali.
Numerosi sono gli oggetti ricavati dagli ossi e dai corni degli animali macellati, sia domestici che selvatici, nonché gli strumenti in selce scheggiata e in pietra levigata. Molto interessanti sono i reperti ricavati in legno e materiali deperibili, da oggetti molto grandi come una vasca scavata in tronco di ontano, fino a oggetti piccolissimi come un’immanicatura di pugnale conservante ancora un chiodino in legno.
Ricchissimi e variegati sono gli oggetti d’ornamento, dalla collana in semi forati ai primi esempi di perline vetrificate (Faience).