La storia sommersa del lago, a Lazise il racconto dei relitti gardesani
LAZISE – Quanti segreti e quante storie conservano i fondali del lago di Garda? Ce li svelano la Squadra di ricerca strumentale e subacquea dei Volontari del Garda sabato 5 novembre alle 20.30 alla Dogana Veneta di Lazise.
Dopo decine, centinaia o migliaia di anni molti relitti dimenticati sono tornati a testimoniare antichi naufragi o incidenti aerei.
«Molti tra questi – spiegano i promotori della serata, patrocinata dal Comune di Lazise -, i più antichi, non hanno ne nome e ne storia, ma testimoniano ugualmente sciagure dimenticate. Altri invece conservano i racconti della loro vicenda e ci hanno permesso di ricostruire il corso degli eventi che li ha portati per sempre su questi fondali».
La Squadra di Ricerca Strumentale Subacquea del Gruppo Volontari del Garda negli ultimi anni ha scoperto e
documentato, durante le esercitazioni o ricerche di Protezione Civile, un numero enorme di relitti.
Il più famoso è forse la galea veneziana affondata nel 1509 davanti a Lazise, protetta dai Beni archeologici di Venezia.
Al largo di Limone c’è la cannoniera Sesia, affondata nel 1860 dopo l’esplosione di una caldaia, e ritrovata 152 anni dopo il suo inabissamento proprio dai Volontari del Garda nel marzo 2012.
Tra Maderno e Punta San Vigilio si trova uno Spitfire, caccia inglese colpito nel ’45 dalla contraerea nella valle dell’Adige, affondato mentre tentava di raggiungere il promontorio di Maderno per un atterraggio di fortuna. Tra la Rocca di Manerba e Desenzano si trovano diversi idrovolanti che parteciparono al mitico Trofeo Agello.
Le profondità nascondono poi carri armati e mezzi militari che nel 1945 i tedeschi in ritirata verso il Brennero deciso di affondare per non lasciarli in mani nemiche. Il lago ci sono poi un’infinità di ordigni bellici, barche di grandi e piccole dimensioni. Segreti e testimonianze di una storia che ogni tanto torna a galla, grazie anche al lavoro della Squadra di Ricerca Strumentale Subacquea del Gruppo Volontari del Garda di cui sono responsabili Luca Turrini e Mauro Fusato.
La Sesia, il più grande disastro avvenuto in acque interne italiane
Marzo 2012, al largo di Limone sul Garda. Violando l’oscurità delle profondità gardesane con i propri fari, il rov avanza lentamente. D’un tratto ecco apparire, tra la nebbia delle particelle in sospensione nell’acqua, lo specchio di poppa, poi la ruota del timone, il supporto dell’albero, la paratia del cannone, i legni dello scafo e del ponte, il fumarolo ed il fischietto a vapore.
Per la prima volta, 152 anni dopo il suo inabissamento, è possibile rivedere il relitto della «Sesia», cannoniera affondata l’8 ottobre 1860 al largo di Limone a causa di una improvvisa esplosione a bordo.
Lo hanno filmato i Volontari del Garda, che il 4 marzo 2012, in collaborazione con lo storico limonese Cesare Montagnoli, avevano individuato il relitto sul fondale del Garda, a 330 metri di profondità. Che la motonave fosse là sotto, al largo di Limone, lo si sapeva. Ma nessuno l’aveva mai localizzata, né fotografata.
Lo stesso obelisco in marmo eretto in località Bine a ricordo delle vittime (ancora lo si scorge transitando sulla Gardesana), non era un’indicazione attendibile ed utile a localizzare il relitto: «Non molti lo sanno – spiega Montagnoli – ma quel monumento è stato spostato ben tre volte in occasione della costruzione della Gardesana e di lavori successivi. Negli anni Cinquanta è stata addirittura smarrita la croce in ferro che aveva sulla sommità».
La motonave è integra. Alcune fonti storiche ipotizzavano che fosse spaccata in due. Invece no: è tutta intera. Probabilmente manca la porzione di ponte che si trovava sopra la caldaia esplosa, ma lo scafo è tutto d’un pezzo.
Nel disastro della Sesia, cannoniera della Marina del Regno di Sardegna trasformata in motonave passeggeri, morirono 42 persone (33 passeggeri e 9 marinai), tutte italiane, tra le quali anche sette membri della famiglia Arvedi di Limone sul Garda, di fatto quasi azzerata dal naufragio.
Di quel disastro (il più grave avvenuto in acque interne italiane) molti avevano perso memoria.
Grazie all’individuazione del relitto con il sonar la storia della Sesia è tornata di attualità. La storia della Sesia nel corso degli anni è sopravvissuta nei ricordi degli abitanti del Garda e successivamente nei racconti tramandati di generazione in generazione. Alcune cronache furono scritte da discendenti delle persone coinvolte nel naufragio o da storici del tempo, mentre traccia dell’affondamento si trova in diversi testi e manoscritti di testimonianze dirette di chi assistette alla tragedia o da persone tratte in salvo. Ora, 152 anni dopo l’affondamento, la cannoniera Sesia torna a far parlare di sé.
Il mezzo anfibio Dukw dell’esercito Usa
Lo avevano cercato, invano, anche i militari Usa. Tra il 2003 e il 2008 effettuarono tre distinte campagne di ricerca sul Garda per individuare nelle profondità lacustri il mezzo anfibio su cui persero la vita, sul finire della seconda guerra mondiale, 24 soldati della decima «Mountain division». Si auguravano di poter recuperare i resti dei militari scomparsi, per dare ai connazionali caduti in battaglia una sepoltura almeno simbolica. Ma le ricerche furono archiviate senza esito.
Sul lago, però, c’è chi non ha mai smesso di cercare: gli uomini del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari del Garda, che ora hanno visto premiati sforzi e perseveranza. Il 9 dicembre del 2012 i Volontari hanno individuato il mezzo, fissato la posizione esatta del relitto e lo hanno filmato.
Un ritrovamento eccezionale, tramite il quale i Volontari del Garda scrivono il capitolo conclusivo di una storia tragica cominciata quasi 70 anni fa. Erano gli ultimi giorni dell’aprile del 1945 quando gli uomini della 10ª Mountain Division Usa tentarono l’unica azione possibile per infrangere la dura resistenza opposta dalla Wehrmacht in ritirata lungo la Gardesana Orientale: aggirare le gallerie con un’ardita operazione via lago.
La notte del 30 aprile un mezzo anfibio «Dukw» salpò da Malcesine alla volta di Riva del Garda. Portava un carico di armi: un cannone da 74 millimetri, mitragliatrici e munizioni per un peso stimato di 9.475 libbre, contro le 5mila tollerate del mezzo. Sotto il peso di un carico eccessivo, complici le onde di una notte di tempesta, quelle tempeste violente e improvvise che i gardesani conoscono e temono, il Dukw si rovesciò e si inabissò, trascinando con sé il suo carico umano di 25 soldati. Se ne salvò solo uno, il caporale Thomas Hough dell’Ohio. Si aggrappò a un relitto galleggiante e riconquistò la riva grazie all’aiuto dei soldati M. Dennis e T. Skonieczny, che andarono a prenderlo, in mezzo al lago, nuotando tra i sibili dei proiettili che i tedeschi sparavano loro addosso (i due soccorritori furono premiati con una medaglia al valor militare).
Gli altri 24 soldati, tutti giovanissimi, tra i 18 e i 23 anni, si inabissarono nel lago insieme al mezzo anfibio e furono dichiarati «Missing in action». Tra loro anche un generale di brigata, l’ultimo ufficiale americano di grado elevato caduto sul fronte europeo nella seconda guerra mondiale.
Gli uomini della 10ª Divisione da montagna americana, addestrata a Camp Hale, in Colorado, giunsero in Italia nel dicembre del 1944, attestandosi sull’Appennino bolognese. Il 22 aprile del ’45 furono i primi soldati alleati a raggiungere il Po, attraversato a S. Benedetto, nel Mantovano. Conquistati l’aeroporto di Villafranca e la città di Verona, tentarono quindi di risalire la sponda orientale del Garda in direzione Brennero. Falliti i tentativi di risalita lungo la strada Gardesana, gli americani decisero di utilizzare i mezzi anfibi. La battaglia gardesana costò alla 10ª Divisione 63 morti, tra i quali i 24 dispersi del Dukw. I Volontari del Garda erano sulle tracce del mezzo anfibio dall’autunno 2011. Lo hanno ritrovato a 276 metri di profondità, a centro lago, 3,8 km a sud di Riva del Garda, di fronte alla località veronese Corno di Bo.
Una storia minore: la “gabarra” di Toscolano
Nel gennaio del 2013 i sonar e le telecamere del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari del Garda hanno individuato, al largo di Toscolano, una gabarra, ovvero una grossa imbarcazione priva di propulsione (veniva trainata da uno o più piroscafi) utilizzata sul Garda per il trasporto di merci fino alla metà del secolo scorso.
Il mezzo è adagiato sul fondale a 130 metri di profondità, al largo del porto di Toscolano.
Il relitto in legno, di notevoli dimensioni (20×4 metri), si trova in buono stato di conservazione e poggia in perfetto assetto di navigazione su un fondale pianeggiante. «Dalle caratteristiche costruttive – spiegano i responsabili del Nucleo, Mauro Fusato e Luca Turrini – si può ipotizzare che lo scafo possa essere stato costruito tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, dopodiché tali imbarcazioni furono costruite in ferro. La sua stazza permetteva trasporti di notevole entità, di carattere industriale o militare in tempo di guerra. Dato che ogni accessorio in metallo, soprattutto ottone, non è stato rimosso, la gabarra è stata probabilmente vittima di un naufragio e non di un affondamento intenzionale: era impensabile disfarsi di un natante non più riparabile senza privarlo dei suoi accessori più preziosi e costosi».
Visto il luogo del ritrovamento, al largo del porto di Toscolano, Fusato e Turini suppongono che questa gabarra fosse utilizzata «per trasportare materie prime e prodotti lavorati da e per la Valle delle Cartiere. Il fatto che al suo interno non vi sia traccia dell’eventuale carico può far pensare che trasportasse prodotti cartacei, certamente distrutti dal tempo». In ogni caso, questo ennesimo ritrovamento dei Volontari del Garda apre una finestra inedita sul passato gardesano.
Il North American P-51 Mustang inabissatosi al largo di Lazise
Nell’aprile del 2013 un altro pezzo di storia riemerge, dopo decenni, dai fondali del lago. Ancora una volta sono i Volontari del Garda a rendersi protagonisti di un ritrovamento che fa notizia.
Questa volta, a finire nel raggio d’azione del sonar, e poi nell’obiettivo della telecamera subacquea del Rov del Nucleo nautico e subacqueo dei Volontari, è stato un aereo. Le fotografie diffuse dai responsabili del Nucleo, Mauro Fusato e Luca Turrini, lasciano intravedere le ali del velivolo, un particolare delle mitragliatrici, parti del motore, una ruota del carrello, l’elica, contorta e piegata forse a causa dell’impatto con l’acqua.
Dopo i primi esami visivi viene appurato che si tratta di un North American P-51 Mustang (wikipedia), aereo dell’esercito a stelle e strisce prodotto a partire dal 1941, considerato uno dei più versatili caccia americani della seconda guerra mondiale. Questi aerei furono schierati sia sul fronte europeo che su quello del Pacifico per contrapporsi ai velivoli della Luftwaffe.
In nu primo momento si fa strada l’ipotesi che possa trattarsi dell’unico Mustang disperso nel Garda, caduto a guerra ormai finita, pilotato da un aviatore del Michigan, che risulterebbe scomparso, «missing in action».
Poi una task force di ricercatori, consulenti storici e collaboratori del gruppo di Protezione civile salodiano ha fatto definitivamente luce sulla storia del caccia di fabbricazione americana, scovando negli archivi storici dell’Aeronautica militare italiana i pezzi del puzzle che ancora mancavano per delineare con chiarezza i contorni di questo capitolo della storia gardesana risalente a 62 anni fa.
Il Mustang, in dotazione all’Aeronautica militare italiana come dimostra la coccarda con il cerchio tricolore inquadrata dalle telecamere del robot subacqueo dei Volontari, si inabissò nel lago nell’agosto del 1951.
La guerra era finita già da qualche anno. Si tratterebbe, dunque, di un incidente avvenuto in fase addestrativa. Nella tragedia perse la vita il pilota che si trovava ai comandi del caccia, il tenente Paolo Tito di 29 anni, originario di Caserta, la cui salma fu ripescata all’epoca dei fatti dai palombari, non senza difficoltà viste le tecnologie e le attrezzature per le operazioni di profondità disponibili all’epoca.
Il veliero Roma
Aprile 2014: le telecamere subacquee dei Volontari del Garda individuano un grosso veliero da trasporto, il cui relitto è adagiato, a 120 metri di profondità, su un fondale fangoso e pianeggiante al largo di Moniga.
Ad individuarlo è stato Mauro Fusato, uno dei responsabili, assieme a Luca Turrini, del Nucleo sommozzatori dei Volontari del Garda. Gli esploratori del sommerso gardesano stavano eseguendo ricerche di studio dei fondali utilizzando un sonar a rotazione quando si sono imbattuti nella sagoma del veliero.
La successiva ispezione con le telecamere di un robot subacqueo ha svelato un relitto ben conservato, di cui non si conosceva la storia. Almeno sino ad ora. Perché i Volontari, grazie al contributo del Forum Regia Marina Italiana, sono risaliti all’identità del relitto, partendo dall’unico indizio che avevano a disposizione: le uniche due lettere ancora visibili del nome del veliero, notate sullo specchio di poppa, ovvero una «O» e una «M». Dopo alcune ricerche in archivio, i Volontari hanno dato un nome al relitto: si tratta del veliero «Roma».
Hanno inoltre ricostruito la sua storia. Era il 18 febbraio 1938 quando, verso le 10, il veliero prendeva il largo dal porto di Desenzano per trasportare a Riva 250 quintali di cemento ed altra merce. A bordo il proprietario del veliero, Giovanni Cattoni di 50 anni, ed il suo aiutante, Bortolo Cretti di 54 anni.
Dopo un’ora di navigazione i due sono colti da una tremenda burrasca. La cronaca di quell’evento dimenticato venne riportata sul quotidiano «Il Popolo di Brescia» del 19 febbraio 1938, che ne descrive chiaramente gli estremi tra antefatti, sviluppi ed epilogo: «I malcapitati cercavano di appoggiare, manovrando verso il porto di Moniga, ma in realtà essi erano completamente in balia della tempesta». La scena non passava inosservata agli abitanti della costa, che videro «il veliero capovolgersi e scomparire in un gorgo di schiuma». La cronaca registra i tentativi eroici di alcuni pescatori che cercarono di raggiungere i due naufraghi. Ma fu «il milite Enrico Magni, reduce dell’Africa Orientale, un gagliardo contadino di 27 anni» a trarre in salvo i due, raggiungendo a nuoto il Cattoni e il Cretti e «unendo i suoi sforzi ai loro, riusciva a trarli a riva in salvo, tra l’ammirazione degli accorsi».
L’idrovolante di Agello
Era il 16 luglio 1929. Il prototipo Fiat C.29, matricola 129, pilotato dal sergente maggiore Francesco Agello, asso del volo e pilota del Reparo Alta Velocità, stava ammarando nelle acque di Desenzano quando un’onda anomala lo fece impennare. Il velivolo, che viaggiava ad oltre 150 km orari, si inabissò. Agello venne ripescato indenne e nel 1934, ai comandi di un Macchi-Castoldi, registrò il record di velocità (709,202 km/h) per la categoria idrovolanti con motore a pistoni, tuttora non superato, diventando leggenda. Per oltre novant’anni attorno al Garda si è alimentato il mito del Fiat C.29, che nessuno, nonostante tanti tentativi, era mai riuscito a trovare.
Ci sono riusciti i Volontari del Garda. Il ritrovamento del relitto, individuato il 21 febbraio 2016 dal sonar del Nucleo Sommozzatori dei Volontari (coordinate e profondità restano top secret), pone ora nuovi quesiti in merito alla sua tutela, all’eventuale recupero, alla valorizzazione e fruizione del reperto.
Se ne è parlato il 17 maggio scorso a Desenzano, in occasione della presentazione alla stampa delle immagini del relitto sommerso. Che per l’eccezionale importanza storica che riveste, legata all’epopea del mitico Reparto Alta Velocità che si insediò a Desenzano nel 1927 e alla grande tradizione dell’ingegneria aeronautica italiana, andrebbe opportunamente valorizzato e reso fruibile. Come? Creando un museo archeologico subacqueo, come già ne esistono nei mari italiani. L’archeologia di profondità, insomma, potrebbe diventare la nuova frontiera del turismo culturale e sportivo del Garda.
La proposta è avanzata da Filippo Maria Gambari, soprintendente dei Beni archeologici della Lombardia: «Per questo tipo di relitti, che per legge sono beni archeologici di interesse storico, tutelati e di proprietà dello Stato, la scelta prioritaria è la conservazione sul fondale». Così dice la normativa. «Possiamo derogare a questa opzione – spiega Gambari – solo se è possibile recuperare il relitto senza danneggiarlo e se sono già disponibili un programma di restauro e un progetto di valorizzazione e fruizione». Servono anche, aggiungiamo noi, i fondi per finanziare il recupero. Se tutte queste condizioni non sono garantite, meglio lasciare il mitico idrovolante in fondo al lago. «Sono numerose – continua Gambari – le memorie sommerse gardesane individuate negli ultimi anni. Perché, dunque, non ragionare su una cartografia dei relitti e valutare la creazione di percorsi di valorizzazione subacquea, per visite assistite da specialisti, come già succede in diverse località di mare?».
L’idea di un museo subacuqeo piace anche al sindaco di Desenzano, Rosa Leso, e potrebbe attrarre un nuovo turismo di nicchia, quello delle immersioni culturali, supportate da una rete di diving della zona.
Del resto il vecchio Fiat C.29 sembra trovarsi bene dove sta: «Lo stato di conservazione è buono – dice l’archeologo subacqueo Francesco Tiboni dell’associazione Atena Fumana -, i colori sono intatti, le scritte visibili, poche le incrostazioni sulle parti lignee e metalliche». Peraltro, le nuove tecnologie e le telecamere di profondità consentirebbero una buona fruizione pubblica anche a chi non è pratico di bombole e respiratori.
L’ultimo ritrovamento: un relitto con antiche anfore
L’ultimo ritrovamento che ha fatto notizia risale al gennaio scorso, quando i Volontari del Garda di Salò si imbatterono, nelle acque del medio lago, sulla rotta Salò-Desenzano, in un relitto di cui non si conosceva l’esistenza.
Si tratta di un’antica imbarcazione da lavoro (forse del tardo medioevo) che trasportava un carico di molteplici oggetti in ferro (badili, vanghe, chiodi, zanche in ferro, ecc.).
Spiccano, tra gli oggetti ritrovati a bordo, due brocche utilizzate dallo sfortunato equipaggio della barca affondata. Si tratta di vasellame in terracotta finemente decorato.
Clicca qui per vedere il video del relitto pubblicato dai Volontari del Garda.
Spiega Luca Turrini, uno dei responsabili del nucleo sommozzatori: «Della barca è rimasto pochissimo, il legno è stato logorato dal tempo. Restano solo alcuni frammenti. Era probabilmente una barca a remi, visto che non abbiamo trovato tracce dell’albero».
Quanto alla datazione del relitto, per Turrini si tratta di una barca che «ha almeno 3-400 anni. Lo supponiamo osservando il grado di usura del legno. Ma datazioni più precise potranno essere proposte dagli esperti». «La zona di ritrovamento – conclude Turrini – è frequentata da sub che effettuano immersioni. Evidentemente nessuno si era mai imbattuto nel relitto».
I volontari hanno lasciato tutto come hanno trovato. Si sono limitati a recuperare due brocche in terracotta: «Le abbiamo recuperate per evitare che fossero predate, come consente la legge sui beni ambientali».
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