The whale, piccolo e straordinario film sul senso della vita

Il film di Darren Aronofsky con protagonista Brendan Fraser, che torna sul grande schermo dopo diversi anni di assenza, in programma al Multisala King di Lonato questo weekend e al Cristal di Salò il prossimo. Ecco la recenzione di Camilla Lavazza.

Il film è in programma al King di Lonato Domenica 26 alle 14 e alle 20:10, lunedì 27 e martedì 28 alle  20:10 e al Cristal di Salò sabato 4, domenica 5 e lunedì 6 marzo alle 21,15.

Trama

Charlie, gravemente obeso ed omosessuale, vive da solo, dando lezioni di inglese online con la telecamera spenta, in modo che gli studenti non vedano il suo aspetto.

Mangia compulsivamente e ogni tanto riceve la visita della sua amica infermiera Liz, con la quale ha in comune un doloroso passato. Quando la giovane figlia ricompare nella sua vita Charlie fa di tutto per riallacciare i rapporti, sapendo che la fine è vicina.

Critica

“Mi dispiace.” Charlie non fa che ripetere questa frase, tanto che la sua amica Liz ne è esasperata, ma non lui non può fare a meno di chiedere scusa a tutti, inghiottito letteralmente dai sensi di colpa e da una spirale autodistruttiva di bulimia compulsiva che lo ha portato ad essere ormai ad un passo dalla morte, imprigionato in un corpo smisurato e ingestibile.

Charlie è dispiaciuto, si sente in colpa, e allo stesso tempo non può fare a meno di abbuffarsi, peggiorando sempre più la sua situazione. Non si autocompatisce ma si vergogna di quello che è diventato, è consapevole di aver fatto soffrire le persone a lui care: la ex moglie (una sensibilissima Samantha Morton a cui basta apparire in scena in poche inquadrature per colpire al cuore) e soprattutto la figlia Ellie, un concentrato di rabbia adolescenziale e desiderio d’amore perfettamente incarnato dalla fiammeggiante Sadie Sink (la scatenata Max di Stranger Things).

Non ci viene detto continuamente di seguire il nostro cuore? Charlie l’ha fatto, “ero innamorato” dirà ad un certo punto. Eppure questo amore non è stato sufficiente, non a salvare il suo compagno Alan dal suicidio, non a salvare lui, non a salvare la sua famiglia, non a riempire l’incolmabile vuoto esistenziale.

Qualcuno è mai in grado di salvare qualcun altro? E ancora: sapendo questo, possiamo comunque evitare di amare?

Più ci si interroga sul testo di questo film, che conserva ancora molto dell’impianto teatrale originario, ci si accorge che è vasto come la vita vera, contiene tutte le contraddizioni e i dilemmi della realtà, dove “giusto” e “sbagliato” non sono sempre così facili da distinguere.

I personaggi appaiono in scena uno alla volta lasciandoci il tempo di conoscerli e scoprire lentamente i loro segreti e le complesse storie che li hanno portati fin lì, iniziando dal protagonista, di cui inizialmente sentiamo solo la voce, suadente, rassicurante (nel doppiaggio italiano la voce è dell’ottimo Fabrizio Pucci) per poi rivelarci lo straordinario aspetto dell’uomo che sta parlando.

Rendere credibili le fattezze di Charlie senza annullare l’espressività dell’interprete è indubbiamente stata un’eccezionale sfida tecnica ma, dopo il primo momento di stupore, ciò che prevale è l’umanità del personaggio, il suo sguardo buono, intelligente e ferito che ci interpella direttamente e ci emoziona con la sua tragica tenerezza, che ci fa arrabbiare e rattristare per la sfacelo fisico in cui si è ridotto, riuscendo però, miracolosamente, ad evitare il pietismo e i giudizi semplicistici.

L’incarnazione di tante contraddizioni, oltre che nel protagonista, si manifesta anche nel giovane missionario Thomas, intriso dei pregiudizi della sua Chiesa ma anch’egli alla ricerca di un posto e di qualcuno che lo perdoni.

Ognuno in questa storia è ciò che sembra e allo stesso molto di più, sfugge alle definizioni e agli stereotipi in cui potrebbe restare imprigionato, come l’amica Liz (Hong Chau, perfetta nella parte dell’infermiera vivace e brontolona) che lo accudisce e allo stesso tempo gli porta il cibo che lo sta uccidendo.

Rendere cinematografico un testo nato per il palcoscenico è stata la sfida, vinta, del regista e dello staff tecnico che, dalle luci alla scenografia, sono riusciti a non rendere claustrofobiche le due ore che trascorriamo nell’appartamento di Charlie, seguendo i suoi sforzi e i suoi stratagemmi per spostarsi da una stanza all’altra e per raccogliere gli oggetti, gesti quotidiani che diventano imprese straordinarie. La porta della casa si apre sempre senza mostrare il paesaggio circostante, se non nell’iniziale scena dell’arrivo del pullman, in cui si capisce che si tratta di una zona rurale e isolata, ma l’azione è tutta concentrata tra le pareti domestiche.

Il titolo, The Whale, la Balena, non si riferisce (solamente) alla stazza dl personaggio ma soprattutto all’importanza per Charlie del testo di Melville e della tesina che Ellie aveva scritto da piccola, che lui tiene con sé come la cosa più cara. La parola che cura e che salva, una formula magica da recitare e farsi recitare nei momenti di crisi.

Il risultato di tutto ciò è questo piccolo e straordinario film che riesce, con un testo teatrale e un pugno di personaggi in poche stanze, a creare un mondo sfaccettato in cui veniamo continuamente interrogati sulla nostra umanità, sul senso di colpa, sulla solitudine, sull’amore e sul senso della vita.

(Camilla Lavazza)

Scheda del film

  • Regia: Darren Aronofsky
  • Soggetto: dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter
  • Sceneggiatura: Samuel D. Hunter
  • Interpreti e personaggi
  • Brendan Fraser: Charlie
  • Sadie Sink: Ellie
  • Jacey Sink: Ellie da bambina
  • Ty Simpkins: Thomas
  • Hong Chau: Liz
  • Samantha Morton: Mary
  • Sathya Sridharan: Dan
  • Fotografia; Matthew Libatique
  • Montaggio: Andrew Weisblum
  • Effetti speciali; Julien Lambert, Bilali Mack
  • Protesi: Adrien Morot
  • Musiche Rob Simonsen
  • Scenografia Mark Friedberg, Robert Pyzocha
  • Costumi Danny Glicker
  • Produttore Tyson Bidner, Scott Franklin
  • Casa di produzione A24, Protozoa Pictures
  • Durata 117 minuti

 

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