Emma è una counselor che risponde ai clienti via chat, mentre si allena correndo su un tapis roulant. Non esce mai dal suo appartamento dalle pareti a vetri, che si affaccia su un piccolo parco verde, e lavora 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Un giorno, tra una chiamata e l’altra, riceve quella della sorella, che le porta una notizia capace di mettere in discussione la sua apparentemente equilibrata esistenza.
Emma corre, ma lo fa senza mai muoversi, senza andare da nessuna parte, in un circolo chiuso, come un criceto nella ruota, un po’ come i due pesci rossi nella vasca che vengono inquadrati all’inizio. Anche la sua casa somiglia un po’ ad un acquario, trasparente e luminoso, da cui lei osserva il mondo sottostante, collegata all’esterno solo tramite la tecnologia, in mezzo a scatoloni che non disferà mai, in un’esistenza eternamente provvisoria.
Conversa con delle macchine e, allo stesso modo, tramite una macchina, dispensa consigli ai disperati che chiamano “e-counselor”, il servizio online di aiuto psicologico e che le assegnano a loro volta un punteggio di gradimento.
Il centro del suo mondo è il tapis roulant su cui noi la vediamo, in abbigliamento sportivo, per tutta la durata del film, ambientato interamente in una stanza, un po’ come Locke di Steven Knight lo era in una autovettura, o “In linea con l’assassino” di Joel Schumacher lo era in una cabina telefonica, anche se in “Tapirulàn” dobbiamo anche fare i conti con il post-pandemia che ci ha abituati tutti a restare rinchiusi tra le quattro mura, rendendolo quasi “normale”.
Ambientazione claustrofobica e dialoghi virtuali quindi, pur senza risvolti thriller, in cui la protagonista Claudia Gerini, qui in doppia veste di interprete e regista, riesce a mantenere la nostra curiosità e attenzione grazie alle continue chiamate dei suoi pazienti/clienti, ciascuno con una storia da raccontare, che si intervallano come in una puntata di “In treatment” grazie ad un ottimo lavoro di montaggio.
A queste si aggiungono le videochat con il suo capo, con l’amico ginecologo, con uno dei suoi amanti occasionali ed infine con la sorella Chiara.
Chiamata dopo chiamata, scopriamo una Emma sempre più vulnerabile, fragile, dietro la maschera di sicurezza che ostenta con i clienti, dietro l’apparente equilibrio e la sua fisicità tonica di donna nel pieno della maturità, consapevole di essere ancora bella ed attraente.
Perfino il suo nutrirsi è sintetico, artificiale, costituito da integratori, e il sesso è solo una ricarica di dopamina, come il correre lo è di endorfine. Tutto è finalizzato ad uno scopo utilitaristico, e allo stesso tempo appare senza senso.
I personaggi che telefonano sono ben caratterizzati: c’è la bruttina intelligente che vorrebbe migliorare il suo aspetto, il liceale gay di famiglia cattolica, il ragazzo che non riesce a dormire per i sensi di colpa, il disegnatore ossessivo-compulsivo (davvero bravo Maurizio Lombardi nel ricrearne la gestualità scomposta), l’aspirante suicida e la donna maltrattata dal compagno. Sullo schermo si alternano le loro storie ed Emma ha una parola, un consiglio per tutti. Ma chi consolerà lei, chi le potrà dire come affrontare i fantasmi del suo passato?
“Sono le persone che più amiamo che possono farci più male” ed Emma lo sa bene, avendo sepolto un trauma orribile, pronto ora ad emergere, e per questo motivo si è costruita intorno una fortezza fatta di routine, regole, e nessun confine tra lavoro e vita privata. Aiutare gli altri per non dover affrontare i propri problemi, essere sempre disponibili per non vedere il vuoto della propria vita privata, trascurare la propria salute per non affrontare il tempo che passa mentre ci si illude di essere forti e “in forma”.
Dialogo dopo dialogo, mentre si lascia sempre più coinvolgere, veniamo a scoprire qualcosa di lei, così brava con i pazienti per aver fatto un punto di forza della sua esperienza traumatica, pur non avendola superata.
Il suo correre incessante si rivela quindi come una mera modalità di sopravvivenza, pronta a sfaldarsi quando la comparsa della sorella, e una sua richiesta per Emma inaccettabile, risveglia antiche ferite.
Emma vive letteralmente in simbiosi con il tapis roulant, cammina, corre, si accascia, fa stretching, beve, ne manovra con abilità i pulsanti, ci si arrampica, mentre parla e parla, oppure ascolta musica o la voce registrata dell’attrezzo che la incoraggia con voce suadente.
Non c’è mai silenzio per Emma, il silenzio che farebbe deflagrare la sua solitudine.
Pur essendo inquadrata praticamente tutto il tempo, Gerini non insiste con compiacimento sul suo corpo per metterne in mostra l’avvenenza, ma lo riprende spesso in silhouette nel controluce o ne mostra talvolta solo una porzione, le gambe che corrono al ritmo di musica.
Un’ottima prova quindi, sia come attrice che come regista, con una sceneggiatura non facile da gestire ma ricca di stimoli e un bel personaggio femminile che rimane impresso, sicuramente anche grazie ad un’interpretazione molto sentita.
Camilla Lavazza
Interpreti e personaggi
Fotografia Beppe Gallo
Montaggio Luca Gualano
Musiche Geoffrey Martin Westley
Produttore Stefano Bethlen
Produttore esecutivo Massimiliano Di Lodovico
Durata 100 minuti