Scrive il lettore:
«Proviamo a comparare due calcoli strettamente commerciali. Da un lato le spese dei tre incubatoi regionali per fornire i laghi lombardi di novellame, cioè 40-50 milioni di larve, ammontano a 900.000 euro annui. Dall’altro abbiamo il potenziale profitto di circa 160.000 euro annuali prodotti da un solo carpione che si riproduce spontaneamente in natura. Infatti, fra i salmonidi che generano circa 2.000 uova per kg., il carpione è l’unico che depone le sue uova due volte all’anno: produce, dunque, circa 4.000 uova in un anno. Se moltiplichiamo le 4.000 uova per il costo del carpione in pescheria, e cioè 40 euro al kg., otteniamo quanto indicato. Una specie resa fragilissima soprattutto dal prelievo di esemplari pescati sulle freghe, un esempio che dimostra l’avidità dell’uomo e la conferma che le risorse della natura non sono infinite.
Cosa verrà a mancare con la scomparsa di questo gioiello di biodiversità!
Fino a pochi anni fa si credeva che le diverse caratteristiche ambientali avessero suddiviso in due fenotipi ben distinti questa specie.
Il primo tipo, chiamato “paesà”, era prevalentemente pescato nell’alto lago. Si tratta di un pesce dalla livrea nera come le profondità dell’ambiente privo di luce in cui vive: un nero luccicante che cede gradualmente il colore se esposto alla luce del sole, arrendendosi al destino. La carne bianca, compatta e tenace, prodotta dalla pressione delle grandi profondità del suo habitat è resistente alla masticazione, sicuramente molto più di qualsiasi altro pesce: ma che appena vinta rilascia i suoi succhi che sanno incantare i palati più raffinati.
L’altro genotipo chiamato “gentile”, sfodera un mantello argenteo, un colore che può cingere solamente il re dei pesci di acqua dolce a celebrarne la preziosità. Le carni sono di un rosa vero, naturale, non inquinato da nessun componente chimico contenuto nei mangimi. Questo colore parla il linguaggio dell’unicità e si mantiene inalterato anche dopo la cottura. Le carni, anche se meno compatte di quelle del suo simile, non sono per niente asciutte: anch’esse costituiscono un boccone divino che acquisisce sapore grazie alla dieta di questi esemplari, composta, in certi periodi dell’anno, prevalentemente di gamberetti d’acqua dolce. Dalle sue uova si ricavava un caviale dal gusto straordinariamente unico, di una rara bontà capace di catturare e accarezzare le papille gustative, imprigionandole nella memoria indelebile.
Non ce ne voglia l’amministrazione di Moniga che ha elevato a simbolo enogastronomico della cittadina lacustre una ricetta con il coregone, né i vari chef stellati tanto bravi da saper inventare un piatto raffinato con la carne ordinaria di questo pesce, trasformata in una “eccellenza” della cultura gastronomica. Purtroppo proprio queste lodi cantate nelle passerelle propagandistiche per certificare il “gusto” del coregone, suonano come una macabra marcia funebre del carpione alle orecchie di coloro che hanno avuto il privilegio di poter gustare, come accadeva fino a pochi anni fa, il frutto di un eco-sistema unico nel suo genere.
Questo patrimonio dell’umanità, che esiste solo nel Garda, potrebbe diventare il vanto della cucina gardesana se percorressimo tutti insieme la strada per la sua tutela. Dovrebbe essere l’orgoglio di noi gardesani, dei pescatori di professione e degli sportivi, di tutti gli imprenditori che vivono di turismo, dei movimenti ambientalisti e anche degli scienziati e della divulgazione delle loro ricerche per far conoscere questo raro esemplare al mondo intero.
Invece, gli sparuti sforzi della società civile per accendere i riflettori sulla gravità della situazione e sulla necessità di proteggere questo salmonide, non vengono ascoltati da più di venti anni. Rimangono prigionieri di vecchie formule politiche, di soffocanti barriere mentali, attente solo ai riti elettorali che fanno riferimento a categorie loro vicine, ai loro piccoli interessi contingenti.
Da posizioni di contorno, le stesse associazioni ambientaliste, da parte loro, nella pretesa di potersi porre al di sopra delle parti, sono giustamente convinte che solo la “certezza scientifica” possa condurre alla salvaguardia di questo pregiato salmonide. Ignorano, tuttavia, le vie e i mezzi per tradurre i risultati della sapienza scientifica in politiche attive che sappiano altresì riunire saperi diversi nel coinvolgimento partecipativo ai tavoli deliberativi decisionali. Sostengono, quindi, contributi scientifici, che soddisfano solamente le curiosità di una decina di militanti, che, a loro volta, si accontentano di scrivere qualche articolo letto da poche centinaia di simpatizzanti. Trascurano gli effetti delle loro attività e il loro impatto sui processi decisori.
Il potere consolidato da più di 30 anni nelle tre regioni che hanno piegato al loro servizio la macchina amministrativa, buona parte della stampa e controllano la ricchezza pubblica, continua a sostenere fallimentari strategie di ripopolamento di carpioni.
Immettono pesci senza un serio controllo genetico a discapito dell’integrità della popolazione selvaggia rimasta nel lago. Spesso arrivano ad autorizzare la pesca in deroga dei pochi carpioni rimasti, incuranti di quanto ogni singolo esemplare sia prezioso per scongiurare l’estinzione.
Insistono, ieri la Regione Lombardia, oggi la Comunità del Garda, a ripresentare un progetto che indica il pesce siluro come l’antagonista del carpione. Chiedono finanziamenti alla Comunità Europea per salvare dall’estinzione il carpione e nel contempo sostenevano la reintroduzione del “carpione del Garda” allevato da una società Trentina:.. “la comunità [del Garda] commenta positivamente la nascita del consorzio Trentino di pescicoltura grazie alla collaborazione della fondazione March e l’associazione di produttori troticoli Astro volto alla reintroduzione del Carpione nel Garda. Siamo soddisfatti dei risultati conseguiti dalla ricerca condotta dalla fondazione Mach e l’auspicio è che la sua reintroduzione nel lago possa avvenire il prima possibile in modo da riportarlo sulle tavole della ristorazione locale e sui piatti degli appassionati di pesce. L’Ente condivide il progetto nelle sue finalità e sarà a fianco dei protagonisti del progetto per fare quanto di sua competenza”
Questo il commento dell’ex presidente della Comunità del Garda pubblicato il 30/11/2013. Fortunatamente, oggi non si parla più di reintroduzione di questi pesci “addomesticati”, ma come recita, molto esplicitamente, il significativo titolo di un articolo del nuovo presidente della Comunità del Garda, onorevole Gelmini: «Coregone, così si salva la pesca sul Garda» sappiamo cosa ne pensa la Comunità su questo argomento. Un colossale errore di prospettiva che condanna il Garda a diventare un acquario e azzera tutte le possibilità e le potenzialità che devono passare dalla saggia conservazione di questa specie unica al mondo.
La competizione non è tra coregone o carpione che potrebbero coesistere, credo, se opportunamente tenute sotto controllo le degenerazioni, rendendo felici pescatori ristoratori e ecologisti. Quello che è palese nelle tre regioni governate dalla stessa sigla politica è il mancato finanziamento in studi più approfonditi per intervenire con operazioni mirate alla conservazione del carpione in natura. Non è il modello economico che hanno in mente, secondo loro la natura va “piegata”, quello che conta è il fatturato.
La prima fase per addolcire questo modello di sviluppo consiste nell’usare, come abbiamo già accennato, i nuovi divi della cultura culinaria che ci fanno sapere quanto è buona la carne del coregone e quanto sia saporita quella del carpione di allevamento ricca di omega 3 mangime e antibiotici. Poi subentrano gli ambiziosi manager che non vedono l’ora di svolgere un ruolo di primo piano sulla scena commerciale dell’allevamento ittico. “Vedono” le enormi potenzialità di “unicità” legate alla sua fama e al suo nome “il carpione del Garda”, anche se fino ad ora non ha dato i risultati di ritorno economico sperati. Sperano che, quando gli interventi pubblici a sostegno del carpione falliranno, si apra la strada al nuovo ordine economico tanto caro ai nostri amministratori. Tutti uniti in operazioni congiunte, persino il Parco Alto Garda bresciano, pronti a battere i tacchi quando si tratta di favorire la logica degli interessi privati e la vitalità produttiva delle imprese.
Le conseguenze pratiche di questi atteggiamenti obbediscono alla logica di una società dei consumi sfrenati che non dà importanza ai danni provocati all’ambiente in uno degli ecosistemi più belli al mondo.
Il futuro è già arrivato, mettetevi comodi anche voi che li avete sostenuti! I danni creati all’ambiente per ora li vediamo in tv».
Fiorenzo Andreoli