A proposito di turismo, quantità e qualità
LAGO DI GARDA - Le considerazioni di un lettore sulla sostenibilità di un turismo che punta più alla quantità che alla qualità.
Scrive il lettore: «Pochi giorni fa, il 16 dicembre 2023, è stato organizzato a Salò un convegno dal titolo «Il turista del Garda, qualità e temi dello sviluppo sostenibile».
Autorevoli esponenti dell’Università Cattolica di Brescia hanno presentato i risultati di un questionario rivolto ad un campione di 400 turisti, gestito dall’Osservatorio per il turismo sul lago di Garda (OTG).
Abbiamo sentito dai relatori una serie di grandi «scoperte»: che la maggioranza di turisti che frequentano il Garda sono tedeschi; che il «passaparola» è la migliore pubblicità; che mancano attrattive per i giovani; e che uno dei problemi principali riguarderebbe il traffico. Ci hanno fatto sapere che il turismo rappresenta il 10% del PIL europeo e che nonostante la sua considerevole rilevanza economica, non sarebbe tenuto in giusta considerazione dalla politica nazionale: altra scoperta significativa! A testimoniare l’efficienza e l’attualità tecnologica dei metodi scientifici utilizzati, e per legittimare la ricerca presentata a Salò, è stata mostrata la potenza dell’intelligenza artificiale applicata all’indagine dell’osservatorio.
Nella società moderna i dati prodotti dalle nuove tecnologie costituiscono la materia prima delle analisi. Tuttavia, tali «prodotti» non sono sufficienti e nemmeno «neutrali»: sono irrimediabilmente soggetti alle finalità e alle volontà umane, sia quando vengono utilizzati, sia, e forse ancor più, quando vengono ignorati.
Ricordo, ad esempio, gli esiti di un antico convegno sullo «Sviluppo economico della regione del Garda», tenuto nei lontani giorni del 14 e 15 ottobre 1967. Già allora, ovviamente senza l’ausilio di algoritmi, si evidenziava l’urgenza di affrontare, come priorità, l’inquinamento causato dall’eccessivo numero di presenze turistiche, proponendo un tubo che raccogliesse le loro «testimonianze» e le facesse confluire in un depuratore, e prevenire la «rottura dell’equilibrio esistente». Nel 1967 non avevano bisogno dell’intelligenza artificiale per conoscere gli effetti collaterali del turismo ed evitare il «grave pericolo ambientale».
Certo, gli algoritmi avrebbero rilevato in maniera più precisa il rapporto tra le 27 milioni di presenze turistiche e la quantità di plastica che viene rilasciata nell’ambiente. Avrebbero mostrato più efficacemente i limiti della «qualità dell’aria» che respiriamo e le soglie di traffico da non varcare per la tutelare la salute di chi vive sul territorio. Tuttavia, l’intelligenza artificiale non può sostituirsi (auspichiamo sia sempre così), al potere decisorio dell’uomo, anche quando cerca di affrontare i problemi in chiave semplicemente «tecnologica», sottraendoli alle responsabilità «politiche».
L’importanza del livello politico e la consapevolezza della «non-neutralità» della scienza emersero, molto chiaramente, in un altro convegno sulla biodiversità («Uomini e Parchi» intitolato a Valerio Giacomini), organizzato nel 1996. Proprio la capacità di coniugare il ruolo della scienza con quello della politica nella promozione dell’ambiente e del turismo, lo rese uno dei più qualificati e lucidi momenti di riflessione sulla biodiversità e sulla sostenibilità.
In tale convegno fu riconosciuto il turismo come una fra le principali risorse economiche al mondo. Ma fu anche sottolineato come il turismo fosse da «indirizzare» secondo finalità non puramente quantitative ma piuttosto qualitative, fondate sul riconoscimento della biodiversità come principale elemento di determinazione della qualità, anche «turistica», di un luogo. Da questa prospettiva si denunciava la necessità di «invertire la rotta» e incamminarsi su un percorso di cambiamento sia sul piano istituzionale che su quello culturale. Si evidenziò l’esigenza di puntare su strategie di conservazione della natura e delle eccellenze agroalimentari di nicchia di cui il nostro territorio abbonda come elementi per rispondere adeguatamente al futuro e assumersi le importanti responsabilità nei confronti delle giovami generazioni e di quelle che verranno.
Oggi, purtroppo, le ricerche sono invece finalizzate a logiche commerciali ottuse e pericolose per l’ambiente e per i cittadini. Sono prevalentemente interessate a potenziare le politiche di marketing promozionali, confondendo le esigenze del turismo con le necessità di un qualsiasi supermercato che vive di concorrenza e deve portare sempre più consumatori. Colludono con le decisioni politiche che stanno condannare il Lago a diventare un acquario, mentre tergiversano sulla manomissione e demolizione di uno dei più bei paesaggi italiani, smembrando montagne e invadono il territorio per portare il turismo del lusso o, ancor più follemente, per attirare «masse di turisti» sulle assurde e artificiali ciclovie.
Da quando, nel 2018, il ministro Toninelli inaugurò la prima tratta ciclopedonale a Limone del Garda, acclamandone la spettacolarità, il contagio delle “ciclabili” si è esteso al resto della riviera. Ricorda la diffusione della gommosi, una malattia che, nel 1885, colpì le radici delle piante degli agrumi, e poi si estese da Limone al resto della riviera, mettendo in ginocchio tutto il settore.
Nonostante le poche prospettive «illuminate», oppure sotto la spinta di quelle «orientate al mercato», siano esse scientifiche e artificialmente intelligenti oppure no, rimane egemonica l’anacronistica ideologia della «crescita senza limiti» ad orientare le decisioni.
Si pensa che nulla possa mettere a rischio un sistema turistico che, da qualche decennio, ha garantito prosperità ed è in continua crescita dagli anni della crisi del 2008 fino ad oggi.
Conseguentemente si insiste a voler a spingere al massimo l’acceleratore, aumentando la velocità, convinti che non si arriverà mai alla «rottura dell’equilibrio esistente». Speriamo non sia necessario aspettare qualche sindaco in galera, qualche ciclista nel lago, o qualche crisi sistemica, prima di programmare strategie e finalità turistiche, svincolate dalle eccezionali esigenze dei grandi operatori e determinate dalla «normalità» degli interessi del nostro territorio, dei suoi abitanti e degli stessi turisti».
Fiorenzo Andreoli
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