Scrive il lettore:
«All’incontro interregionale presso l’incubatoio di Desenzano del Garda alla presenza degli assessori della pesca della regione Lombardia Veneto e Provincia autonoma di Trento (ne abbiamo scritto qui, ndr) è stato stabilito che «serve integrare nuovi studi sul coregone fermi dal 1986 come studi sulla biomassa presente nel Garda».
Tutti i presenti alla riunione furono concordi nell’“avviare uno studio scientifico teso a dimostrare il riconoscimento del coregone come specie parautoctona (ossia una specie animale che pur non essendo originaria di una determinata area geografica, vi è giunta per intervento diretto dell’uomo e che si è naturalizzata prima del 1500)”.
Il conseguente accordo firmato dai governatori, preoccupati del «calo della biodiversità» ma convinti che il futuro del lago di Garda è nelle mani del territorio e di tutte le persone di buona volontà”, conferisce alla Comunità del Garda compiti di sintesi gestione e proposta sulla pesca nel Garda.
Purtroppo, queste affermazioni non si sono articolate con un reale piano di sviluppo. Vista la presenza dei potenti assessori delle regioni più ricche d’Italia, ci saremmo aspettati che si fosse parlato di quantificare i concreti investimenti per salvare il carpione dall’estinzione e si fossero analizzati i risultati emersi delle ricerche finanziate dal 2008 in Trentino, Veneto e Lombardia.
Ci saremmo altresì attesi un progetto di dialogo con la comunità scientifica alla presenza delle eccellenze della ricerca italiana e internazionale. Niente da fare! Ancora una volta, le dichiarazioni si sono limitate a demagogiche affermazioni di principio, prive di basi scientifiche, affidando alla “buona volontà” le sfide del futuro e le vere domande del nostro tempo che impongono di gestire con rigore e sistematicità quella miniera d’oro di biodiversità quale è il Garda.
Sarebbe sufficiente dividere i fatti dalla propaganda per capire verso quale catastrofe ci stanno portando i novelli assessori che «pensano» unitariamente di «salvare la pesca sul Garda» ma non considerano il valore economico dei 230 quintali di carpioni pescati negli anni Settanta, buttato al vento da ventennali politiche fallimentari.
È quindi lecito porsi delle domande. Con quali criteri è stata scelta questa rovinosa strategia di reintroduzione di carpioni allevati che non ha fornito nessun risultato e non è stata oggetto di alcuna verifica? Dove troviamo il rigore scientifico in analisi commissionate ad una società di consulenza che mette il pesce siluro come competitore del carpione? Come mai un progetto di richiesta di fondi è stato affidato ad un solo ente? Come mai nessuna delle due regioni e la provincia trentina hanno sviluppato un piano articolato che progetta non solo la tutela ma anche lo studio finalizzato a risolvere concretamente il problema dell’estinzione di questo gioiello della biodiversità?
Senza prestare alcuna attenzione a questi problemi, la direzione intrapresa per salvare dall’estinzione il carpione viene assicurata e promessa da uno smagliante progetto dalla Comunità del Garda. Tale progetto parte «dalla volontà di tutti i comuni gardesani, che dovranno finanziare con modalità pluriennale, non meno di 5 anni […] mettendo in sinergia amministrazioni comunali e regionali con la supervisione della Comunità del Garda». L’accordo interregionale sembra quindi sancire la colpevole agonia di uno straordinario patrimonio che verrà cancellato se questi sprovveduti amministratori continueranno su questa strada.
Il carpione è un salmonide unico al mondo che si riproduce due volte all’anno. Non si è mai ibridato grazie alla forte pressione e alla temperatura dei letti di frega, posti dai 50 ai 200 metri sui fondali ghiaiosi. Basterebbero queste caratteristiche per promuovere il coinvolgimento di scienziati da tutto il mondo per studiare questo gioiello che esiste solo nel Garda.
Come sostengono diversi ittiologi e biologi competenti, ottimi risultati potrebbero essere garantiti dall’introduzione sui letti di frega di uova embrionate di carpione, nate da carpioni selvaggi per indurre il richiamo riproduttivo naturale degli adulti nel luogo di nascita (non da specie allevate in cattività utili solo per passare dal laboratorio al mercato).
La salvaguardia del carpione non è solo un impegno etico e politico in difesa di un’identità storica e territoriale che partecipa alla definizione dell’immagine internazionale del nostro lago. È anche la principale maniera per rimanere competitivi in futuro, per dare nuovi impulsi alle opportunità che ci sono servite su di un piatto dorato dal nostro generoso ambiente.
La difesa del carpione dovrebbe diventare il simbolo di strategie di promozione della competitività turistica di una realtà che può fregiarsi di una specie unica al mondo, che stringe a sé storia e cultura, in contrapposizione ai soldi sprecati per devastanti ciclovie e all’espansione sul territorio di nuove strutture turistiche del lusso, sempre uguali in tutto il mondo ma considerate dagli uomini che si fermano alla “buona volontà” come strade indispensabili del progresso economico.
Le prospettive sul futuro, e il lascito per le future generazioni, non possono non fondarsi sulla sostenibilità e cioè sul mantenimento di un lago ancora vivo, dove la vita ancora si riproduce «naturalmente».
Le vere innovazioni di nostro specifico interesse si dovrebbero dunque legare all’ambiente e ai comportamenti miranti al rispetto del territorio e alla valorizzazione delle professionalità di chi fa turismo in antitesi alla progettualità «a breve termine» dei predatori finanziari e delle loro imbarazzanti propagande manipolatorie».
Fiorenzo Andreoli