Una recente indagine condotta dalla Fondazione Edmund Mach ha permesso di identificare nei vini bianchi e spumanti Trentodoc una nuova classe di composti naturali, finora inesplorati, che possono contribuire a modulare il sapore dei vini stessi.
I risultati di questo studio sono stati presentati nei giorni scorsi a Davis, in California, nell’ambito della tredicesima edizione del più importante convegno mondiale “In Vino Analytica Scientia 2024”, che ogni due anni riunisce i migliori scienziati del settore da tutto il mondo, con la presenza di oltre 150 delegati in rappresentanza di 15 paesi diversi.
Nei vini bianchi esiste un effetto “kokumi” (dal giapponese, koku – ricco e mi – sapore), ossia il vino contiene sostanze che, tramite l’interazione con una proteina recettore sensibile al calcio, sono in grado di conferire una maggiore gradevolezza al palato aumentandone il gusto percepito e la pienezza e complessità del sapore.
Come si è arrivati a questa scoperta? Un team di ricercatori della FEM, in collaborazione con i colleghi delle Università di Parma e di Napoli Federico II, sono riusciti a mettere a punto un metodo per analizzare una classe di composti finora inesplorata nei vini, gli “oligopeptidi”.
Con una nuova tecnica sviluppata nell’Unità di Metabolomica FEM, sono stati esplorati 15 campioni di Trentodoc di 5 diverse annate, quantificando ben 94 composti. Altre analisi, condotte a Parma e a Napoli, hanno confermato che questi composti sono in grado di modificare le proprietà sensoriali dei vini bianchi.
Le analisi microbiologiche condotte in FEM hanno inoltre scoperto che i composti formati sono originati dai lieviti a partire dalle uve, e sono del tutto diversi rispetto a quelli che si producono fermentando altre matrici, ad esempio nel sidro o nella birra.
Le analisi condotte su spumante Trentodoc riserva hanno confermato che questi stessi composti “kokumi” sono sempre presenti, in concentrazioni variabili. La qualificata platea ha accolto molto favorevolmente la nuova ipotesi esposta dal prof. Fulvio Mattivi (Fondazione Mach), cui è stato assegnato il prestigioso ruolo di avviare i lavori del convegno con la conferenza plenaria di apertura. Le scoperte esposte dal prof. Mattivi aprono la strada a future ricerche per comprendere e governare la formazione di queste sostanze naturali, capaci di impattare sul sapore del vino.
Ma a Davis si è parlato anche dei problemi di invecchiamento dei vini; in particolare, sono stati esposti dalla dott.sa Silvia Carlin (Unità di Metabolomica, FEM) i risultati di una ricerca in cui si è simulato l’invecchiamento di vino spumante in condizioni “forzate” a temperature elevate, confrontando gli esiti con una conservazione naturale in una cantina professionale.
La ricerca contribuisce a migliorare significativamente il potenziale predittivo dei test di invecchiamento accelerato, effettuati su vini spumanti giovani, al fine di selezionare i vini più adatti a produrre vini spumanti destinati ad un invecchiamento prolungato, le riserve.
Infatti, anche sotto la pressione dei cambiamenti climatici, diventa difficile assicurarsi che una partita di vino base spumante abbia le caratteristiche per produrre uno spumante riserva, senza sviluppare nel tempo note indesiderabili, quali ad esempio le note sgradite da idrocarburi o da sapone di Marsiglia.
Il metodo sviluppato in FEM è un’arma utile nel controllo di qualità, da oggi a disposizione dei produttori di vini riserva, per scegliere le partite da lavorare scartando quelle che potrebbero generare dei vini difettosi.
Infine, sempre in relazione al possibile miglioramento delle tecnologie di cantina, a Davis la dott.sa Adelaide Gallo ha presentato i risultati della tesi di dottorato sviluppata presso la cantina sperimentale del Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Mach, proponendo nuove soluzioni biotecnologiche utili alla stabilizzazione proteica dei vini in alternativa all’utilizzo della bentonite, con una notevole semplificazione delle pratiche di cantina; la nuova tecnologia si avvale dell’azione di enzimi endopeptidasici.