La mostra sarà poi aperta al pubblico fino al 26 gennaio dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 (chiuso lunedì).
Dal 28 gennaio al 31 marzo sarà aperta su prenotazione per scolaresche e gruppi con visite guidate, anche in tedesco e inglese.
Un evento straordinario per Arco: dopo la recente acquisizione da parte del Comune del dipinto di Giovanni Segantini «Sole d’autunno» (noto anche come «Vacca bianca all’abbeveratoio»; ne avevamo scritto qui), un grande olio su tela (alto 90 e largo 192 centimetri) che il celeberrimo pittore di origine arcense ha realizzato nel 1887, la galleria civica «Giovanni Segantini» presenta al pubblico il capolavoro segantiniano nella cornice di un nuovo allestimento (a cura di Niccolò D’Agati) che ne valorizza la centralità nel percorso della ricerca pittorica del pittore arcense e il ruolo fondamentale di passaggio nell’evoluzione della sperimentazione segantiniana tra gli anni briantei e l’aprirsi della fase più intensa della sua attività, dopo il trasferimento nei Grigioni, quando un rinnovato senso del colore e della luce si impone quale nucleo fondante di una nuova concezione estetica. Si tratta di un dipinto di eccezionale importanza e dalla prestigiosa storia collezionistica, acquistato presso la galleria Bottegantica di Milano.
Non più esposta dal 1954, anno della rassegna «Pittori lombardi del secondo Ottocento, a Como alla Villa comunale dell’Olmo, l’opera riemerge finalmente, dopo ben settant’anni, agli occhi del pubblico. Nel contesto italiano la musealizzazione di «Sole d’autunno» da parte del Comune di Arco per una cifra di 3 milioni di euro, costituisce uno dei più grandi acquisti pubblici mai avvenuti di un’opera del nostro Ottocento, e in particolare la maggiore acquisizione segantiniana a partire dal 1927. Un capolavoro della cultura artistica nazionale entra oggi a far parte del patrimonio pubblico, favorendo non solo gli studi su Giovanni Segantini, ma su tutta la pittura dell’Ottocento italiano.
In questa cornice, e nell’occasione del centoventicinquesimo dell’anniversario della scomparsa di Segantini, la galleria civica arcense dedica un focus sull’ininterrotto legame che la città di Arco da sempre mantenne vivo con la memoria del pittore, a partire dalla commissione del monumento a Leonardo Bistolfi e che si rinnova, oggi, con l’acquisto di un’opera finalmente restituita alla collettività e visibile dopo settant’anni dall’ultima esposizione.
Il dipinto, in rapporto alle sue specificità iconografiche, tecniche e pittoriche, rappresenta uno dei capisaldi della pittura di Segantini, configurandosi come uno dei suoi più importanti lavori, oggi noti, del 1887.
La tela, da leggere in continuità con i risultati raggiunti con l’opera «Alla Stanga» (1885-1886, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), viene elaborata dal pittore nel momento in cui, complice la riflessione stimolata da Vittore Grubicy, sperimenta nell’«Ave Maria a trasbordo» (1886, St. Mortiz, Segantini Museum) una prima istintuale –e non sistematica– applicazione della stesura divisionista.
L’uso dell’impasto a colori puri è più libero, la pennellata articola in modo complesso la superficie, facendosi ora più corposa, ora più allungata; le sottili variazioni cromatiche, svincolate dalla convenzionalità crepuscolare degli anni briantei, restituiscono meticolosamente i valori cromatico-luministici studiati dal vero.
La centralità di «Sole d’autunno» è connessa altresì al soggetto rappresentato, icona di primaria importanza del naturalismo segantiniano, collegato ad altri due capolavori della sua produzione quali «Allo sciogliersi delle nevi» (1888, St. Moritz, Segantini Museum) e «Vacche aggiogate» (1888, Basilea, Kunstmuseum).
Sotto il profilo tematico, il dipinto costituisce inoltre un vero e proprio momento di frattura rispetto alle opere dei primi anni Ottanta dell’Ottocento. La tela supera infatti l’impasse letteraria dell’idillio tragico ed elegiaco, al fine di celebrare una più diretta esaltazione della natura nei suoi valori essenziali, svincolandola così da una rilettura sentimentale per avvicinarla, invece, ad una concezione panica e universale, entro ciò che il pittore definisce «simbolismo naturalistico».
La straordinarietà di quest’acquisizione risiede anche nella sua storia collezionistica, passata dalla collezione di Alberto Grubicy (1887) a quella dell’importante famiglia Dall’Acqua (1894), transitando poi nella collezione Rossello (ante 1926), una delle più consistenti e importanti collezioni di tutto il Novecento italiano.