Assessore Tironi, un ringraziamento per avere reso possibile questo incontro.
Nella realtà del lago di Garda – e nei dintorni – si nota quanto spesso sia difficile riuscire a trovare lavoratori adeguatamente formati. Questo è un fenomeno che si sente particolarmente nel mondo del turismo, ma anche della manifattura.
GARDAPOST: Vorrei quindi capire quali sono i passi che Regione Lombardia sta facendo per affrontare la questione?
SIMONA TIRONI: «Il tema delle competenze è il tema oggi dirimente: si pone al cento di qualsiasi tipo di discussione. Oggi si parla tanto di mismatch, ovvero di quando la domanda di lavoro non incontra l’offerta; va detto però che ciò che osserviamo è un’evoluzione straordinaria – veloce e rapida – del mercato del lavoro, guidato dal massiccio uso della tecnologia – pensiamo all’intelligenza artificiale e alla rielaborazione dei dati. Questo porta la percentuale di occupazione a salire, ma continua a crescere anche la richiesta di competenze specifiche e manodopera qualificata: ciò che emerge non è la carenza di persone, quanto piuttosto la mancanza di lavoratori adeguatamente formati.
In Regione Lombardia abbiamo la grandissima fortuna di avere un sistema d’istruzione-formazione professionale che tutti ci invidiano: abbiamo più di 60.000 ragazzi in istruzione-formazione professionale nei primi 4 anni di scuola e oltre 10.000 si trovano nei nostri due anni di sistema ITS per l’alta specializzazione.
Regione Lombardia ha un osservatorio sul mondo del lavoro: attraverso una survey costante, raccogliamo dalle nostre aziende quali sono le loro richieste e, sulla base di questi risultati, ci orientiamo a formare esattamente quelle competenze di cui il mercato del lavoro necessita. Il nostro sistema di istruzione professionale eroga quindi un’offerta formativa che viene modificata ogni anno in base alle esigenze del mercato. Da ciò deriva anche che i nostri ragazzi – terminato il percorso di studi – raggiungono una percentuale di inserimento lavorativo pari al 96%.
Tuttavia, siamo obbligati a fare i conti con la demografia: non riusciamo ad inserire un numero sufficiente di persone formate rispetto alle vacancy aperte. Questo ha imposto, parallelamente, l’introduzione di diverse misure per formare quelle persone che possono lavorare, ma che oggi ancora non lavorano.
Questa misura, denominata “Formare per assumere”, permette all’azienda di individuare la persona giusta che abbia nessuna o poche competenze: essa viene indirizzata verso un percorso di formazione che risponda alle esigenze dell’azienda presso un Ente accreditato con Regione Lombardia e, infine – a fronte di un contratto di lavoro di almeno 12 mesi – Regione rimborsa all’azienda il 100% del costo della formazione e, come ulteriore benefit, eroga all’azienda un incentivo per l’assunzione. Esso varia dai 4.000 ai 6.000 euro se si assume un uomo; dai 6.000 agli 8.000 euro se ad essere assunta è una donna.
In seconda battuta, per quelle persone lavoratori dipendenti o liberi professionisti – e quindi già inseriti nel mondo del lavoro, ma che devono adeguare le loro competenze – esiste una misura chiamata “Formazione continua”: lo scopo è di aggiornare le competenze dei lavoratori, permettendo all’azienda di continuare ad essere competitiva. Attraverso l’uso di un voucher, l’azienda può inserire un certo numero di dipendenti nel percorso di formazione e Regione Lombardia, in base alla grandezza dell’azienda, rimborserà fino al 100% dei costi sostenuti.
In sintesi, quindi, il tema delle competenze lo “aggrediamo” lungo tre fronti: i ragazzi in formazione, con l’istruzione professionale e in sinergia con il mondo del lavoro; con la misura “Formare per assumere”, per coloro che cercano lavoro; e “Formazione continua” per chi è già lavoratore e deve aggiornare le proprie competenze».
GARDAPOST: Questa sua risposta offre alcuni spunti di riflessione: la prima che vorrei toccare riguarda il gender gap. Sappiamo che purtroppo il divario di genere è una realtà ancora assai presente in Italia e la Lombardia non fa eccezione in questo.
Vorrei quindi capire quali misure specifiche Regione Lombardia sta attuando per contrastare il fenomeno?
SIMONA TIRONI: «Noi siamo l’unica Regione d’Italia che ha investito sul tema della certificazione sulla parità di genere per le aziende (ne avevamo scritto qui). Lo Stato ha messo a disposizione, per tutta Italia, un finanziamento pari a 10 milioni di euro; Regione Lombardia ha aggiunto a questi altri 10 milioni di euro di risorse proprie.
Lo scopo è incentivare e accompagnare le aziende in un cambio culturale importante, nel quale va posto al centro il valore della donna nel mondo del lavoro.
Operativamente, con questa misura diamo la possibilità a tutte quelle aziende che vogliano certificarsi “parità di genere” di farlo. I requisiti sono vari: l’equità di trattamento – anche salariale – tra donne e uomini; la garanzia di poter accedere alle stesse posizione di carriera, anche apicali; insomma, dei parametri abbastanza stringenti.
Le aziende che decidono di certificarsi ottengono anche premialità nelle gare di appalto pubbliche, rendendo questa misura assolutamente incentivante. In più, Regione Lombardia rimborsa la totalità dei costi che l’azienda deve sostenere per certificarsi.
Ad oggi – in un anno e mezzo – sono più di 1000 le aziende che si sono certificate.
Il riscontro che abbiamo da questa misura è estremamente interessante: tutte quelle aziende che si sono certificate oggi ci dicono che l’ambiente lavorativo è assolutamente migliorato; il problem solving è progredito tantissimo, e ciò grazie alla propensione delle donne ad affrontare gli imprevisti. Questi fattori danno la possibilità di creare un clima migliore all’interno dell’azienda, permettono di aumentare la loro produttività e rendendole più competitive anche dal punto di vista economico».
GARDAPOST: Mi chiedo se questo effetto specifico fosse atteso da chi ha deciso di certificarsi…
SIMONA TIRONI: «Io penso che all’inizio le aziende abbiano aderito perché questo è oggi il tema del momento e per ricevere un incentivo economico. Però, da questo, oggi sono i nostri primi testimonial nel dire: “Per fortuna ci ho creduto”. Perché il ritorno economico avuto non è stato solo quello dettato dall’incentivo, ma anche dal valore aggiunto della donna messa al posto giusto e con le giuste condizioni lavorative. Questa è la nostra missione.
Posso svelare anche che il 15 novembre aprirà ufficialmente un avviso che non ha eguali in Italia, con una misura da me fortemente voluta e chiamata “Lombardia per le donne”: è un’iniziativa rivolta a tutte quelle donne che sono disoccupate perché hanno scelto – ma non liberamente – di lasciare il proprio lavoro – o di rinunciarvi del tutto – per crescere un bambino o per prendersi cura di una disabilità o di una malattia grave all’interno del nucleo famigliare. In questo senso, ritengo che si debba partire dal concetto che una donna deve essere libera di scegliere se stare a casa a crescere i propri affetti oppure di scegliere la carriera o quel lavoro che dia soddisfazione e felicità.
Per questo abbiamo deciso di creare questa misura, per ora finanziata per un totale di 5 milioni di euro (e rifinanziabile): attraverso di essa, a tutte quelle donne disoccupate da almeno 3 mesi e che vogliono ritornare – o entrare – nel mondo del lavoro dopo una maternità o dopo un carico di cura disabilità o malattia, sia come dipendenti che come libere professioniste e che ci forniscano il proprio contratto di lavoro (di almeno 12 mesi) e – contestualmente – forniscano il contratto di assunzione di una babysitter o di un assistente famigliare, Regione Lombardia – per i primi 12 mesi – darà un contributo fisso di 400 euro mensili per compartecipare all’assunzione e allo stipendio dell’assistente liberamente scelto.
“Lombardia per le donne” permette di aprire tre scenari: innanzitutto, si da uno strumento che permetta alle donne di scegliere liberamente, consentendo loro di tornare sempre di più – e meglio – nel mondo del lavoro. D’altra parte, con un’unica misura, si ottengono due contratti di lavoro: quello della donna che entra nel mondo del lavoro e quello del collaboratore – che spesso è anch’esso una figura prettamente femminile – permettendo così anche di combattere il lavoro nero.
GARDAPOST: Lei ha parlato prima anche di intelligenza artificiale. Recentemente, Regione Lombardia ha presentato delle linee guida per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito didattico. Leggendole, si comprende che la IA venga intesa come strumento sia per insegnare (come supporto alla didattica) che da insegnare (con tutti le questioni etiche del caso).
Quali sono le ricadute pratiche che vi aspettate da questo documento?
SIMONA TIRONI: «Noi parliamo di IA perché la scuola è strettamente collegata al mondo del lavoro. Il mondo del lavoro, oggi, è completamente trasformato dalla tecnologia e dall’IA che – talvolta – un po’ anche spaventa; dobbiamo però assolutamente essere in grado di guidare il fenomeno il prima possibile, partendo da quelle generazioni che sono oggi nel percorso di studi e che saranno i lavoratori di domani.
Ho perciò voluto – da subito – creare un board composto da dieci massimi esperti di Intelligenza Artificiale come metodo di insegnamento nelle scuole: essi hanno sviluppato un vade mecum delle linee guida per formare tutti i docenti della nostra istruzione professionale (ovvero di quelle scuole su cui abbiamo competenza diretta).
Abbiamo inoltre aperto un avviso con cui chiediamo ai grandi gruppi che forniscono strumenti formativi per i docenti di trasformare queste linee guida in pacchetti di formazione. Gratuitamente HP e Editrice La Scuola si sono messi a disposizione per noi e per gli insegnanti.
L’obiettivo è di formare i nostri docenti per potere insegnare al meglio l’Intelligenza Artificiale ai nostri ragazzi, soprattutto partendo dall’approccio etico: quali sono i rischi della IA e quali le grandi opportunità, andando a sottolineare però anche l’aspetto umano, che non deve essere perso di vista. Dobbiamo mettere i ragazzi davanti al rischio dell’uso scorretto dell’Intelligenza Artificiale, che devono conoscere per guidare un progresso sano».
GARDAPOST: La presenza del Ministro della Pubblica Istruzione Valditara alla presentazione può essere quindi letta come un segno di potenziale collaborazione con gli istituti scolastici statali in Lombardia?
SIMONA TIRONI: «Il Ministro è venuto al grande evento di presentazione che abbiamo fatto e ha lanciato una sperimentazione simile – per quanto non così articolata – in quindici scuole in tutta Italia, di cui tre in Lombardia.
Noi, al contrario, partiremo a tappeto con tutte le scuole di formazione professionale, per un totale di 60.000 studenti. Regione Lombardia farà così da apripista al Ministero, facendo una sperimentazione parallela finalizzata poi fare sintesi dei dati raccolti».
GARDAPOST: In Provincia di Brescia sono stati destinati quasi 13 milioni di fondi PNRR dedicati ai Centri per l’Impiego. In particolare, sul territorio gardesano sono stati finanziati due progetti: la ristrutturazione del CPI di Desenzano e la costruzione di un nuovo CPI a Salò. Perché la scelta di investire nei Centri per l’Impiego?
SIMONA TIRONI: «Investire nei CPI è oggi fondamentale: l’incontro tra domanda e offerta di lavoro passa per i nostri Centri per l’Impiego, che operano in stretta sinergia con le aziende e con i nostri Enti accreditati per le politiche attive al lavoro. La persona che entra nel CPI viene sottoposta ad un’analisi: l’operatore capisce esattamente cosa potrebbe fare e dove le sue competenze devono essere sviluppate (o – eventualmente – create da zero). Investire nei CPI è quindi la prima leva per combattere il mismatch di cui parlavamo all’inizio.
Lo stiamo facendo investendo in un ampio piano di potenziamento, coinvolgendo le Provincie, a cui Regione Lombardia delega la gestione dei CPI. La Provincia di Brescia è assegnataria di 13 milioni di euro.
A Salò nascerà un nuovissimo centro per l’impiego, finanziato per un importo di 2 milioni di euro, completamente innovativo, dotato anche di spazi di aggregazione. Il primo obiettivo che ci poniamo è che il Centro per l’Impiego debba essere conosciuto da tutti e che diventi quel posto in cui non si vada solo per cercare un posto di lavoro, ma nel quale ci si possa anche confrontare, nel quale i ragazzi possano imparare a scrivere un curriculum o possano chiedere delle informazioni. A questo fine, nel CPI di Salò inseriremo anche un job cafè, uno spazio in cui le persone possano collaborare e scambiarsi idee.
Insieme al potenziamento strutturale, a Salò potenzieremo anche la componente del personale: aumenteremo le persone che lavoreranno al suo interno e che saranno in grado di accompagnare al lavoro tante altre persone. Svilupperemo un contesto ad hoc anche per il collocamento mirato delle persone disabili; inseriremo tantissima tecnologia: pensiamo a degli avatar che possano accompagnare le persone disabili o i lavoratori stranieri nel farsi meglio comprendere; introdurremo anche la figura dello psicologo.
In questo senso desidero rivolgere un ringraziamento all’Amministrazione comunale di Salò, nella persona dell’ex Vicesindaco Federico Bana su tutti. Lo dico perché ho constatato che non in tutti i comuni è stato facile trovare un punto d’incontro per portare avanti un progetto così grande come questo. Devo dire che a Salò la sensibilità che ho raccolto sul tema del lavoro è stata enorme, ed è stato possibile pianificare quello che per noi è uno dei CPI di riferimento del territorio».
GARDAPOST: Viste le esigenze del nostro territorio, si possono immaginare percorsi mirati per quanto riguarda il reclutamento e la formazione di operatori nel comparto del turismo?
SIMONA TIRONI: «Possiamo sicuramente destinare, vista che quella è una zona prettamente turistica, anche uno sportello dedicato alle attività di ricezione turistica: gli alberghi, i ristoranti. Quello che mi piacerebbe portare in quella zona è anche un Ente di formazione accreditato per sviluppare ancora più competenze per i lavoratori del mondo del turismo».