Nessuna luna in cielo. Dal Garda ad Auschwitz, la storia di Maurizio Benghiat

BRESCIA - Nell'ambito della rassegna "Brescia da leggere", domenica 5 maggio alla biblioteca del Villaggio Sereno Bruno Festa presenta il libro in cui ricostruisce la vicenda di Maurizio Benghiat, ebreo, arrestato nel 1943 a Tignale, deportato e assassinato ad Auschwitz.

Una vita fatta così. Fu quella di Maurizio Benghiat, parecchi decenni prima che Vasco rendesse celebre il breve verso canoro.

Nato a Smirne, in Turchia, nel 1881, Benghiat era ebreo. Ma era soprattutto uno che non temeva il rischio e che non aveva confini. La sua destinazione pareva essere l’infinito.

E così a diciassette anni si diplomava a Parigi e a venti era professore alla scuola superiore di Hamadan, in Iran, una città a un terzo di deserto tra Teheran e Bagdad. Cinque anni di tirocinio, quindi il trasferimento a Salonicco, in Grecia. Qui insegna per sei anni alla scuola Allatini, fondata da un ebreo livornese.

Poi, per qualche anno, lavora tra Rotterdam e Parigi ma su questa parentesi della sua vita non si sa molto. Torna in Turchia, a Istanbul e dirige un’azienda per poi entrare nella massoneria.

Negli anni Trenta del Novecento finisce nell’orbita della Banca Commerciale Italiana, prima come dirigente della Banca Commerciale per l’Oriente, quindi come amministratore di una azienda mineraria, la Türk Kömür Madenler, che faceva capo alla stessa banca. E così lo si trova sovente a Roma e a Milano.

Nel 1939 è a Parigi a godersi la vita da scapolo e benestante, quando ormai i sessanta anni stavano suonando.

In Italia, nel frattempo, il fascismo ha iniziato ad emanare le leggi razziste antiebraiche.

Ma è proprio l’Italia il Paese in cui Benghiat arriva ad inizio 1942. Prima Sanremo, quindi Gardone Riviera da metà ottobre. Si fermerà in riva al lago per un anno, cambiando almeno cinque dimore, per poi spostarsi la sesta volta e facendosi ricoverare all’ospedale di Salò, tentando di sfuggire ad una tenaglia che stava stringendosi intorno a lui e a tutti gli ebrei.

Da ottobre 1943 sul Garda occidentale la Repubblica di Salò piazza le sue tende e la situazione si complica ulteriormente, vista anche la massiccia presenza nazista.

Lui va a Tignale, sperando forse in un miracolo. Che non ci sarà. L’ultimo giorno di dicembre 1943 i carabinieri di Tremosine lo arrestano e lo portano in Questura e, poi, a Canton Mombello. Di lì verrà trasferito a Fossoli l’8 febbraio, assieme ad altri diciannove ebrei “bresciani”.

L’ultimo viaggio sarà quello verso Auschwitz, con partenza da Carpi il 22 febbraio, con gli altri bresciani e assieme a 650 persone, tra le quali Luciana Nissim e Primo Levi.

A sera inoltrata del 26 febbraio, sulla Judenrampe, avviene la selezione: 119 (tra uomini e donne) sono immatricolati e inviati nelle baracche. Dal giorno dopo a lavorare. Per tutti gli altri, incluso Benghiat, è pronto un camion verso la destinazione finale, tra fari che abbagliano e cani che ringhiano, con le SS che urlano ordini.

Finì lì, la sua vita fatta così. Gli avevano detto che andavano verso le docce.

Bruno Festa presenterà il suo libro domenica 5 maggio nell’ambito di «Brescia da leggere».

 

 

 

Maurizio Benghiat.

 

 

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