Al Cristal di Salò si apre la rassegna del cineforum (clicca qui per gli altri appuntamenti) con l’ultimo film di Woody Allen.
Trama: Mort Rifkin, ex professore di cinema e scrittore ormai anziano, ma sempre in attesa di scrivere il grande romanzo della vita, racconta al suo analista, con ampie divagazioni cinefile, le sue disavventure al festival cinematografico di San Sebastián, dove si è recato per accompagnare la moglie Sue, agente di un giovane regista borioso e supponente di nome Philippe.
Mentre quest’ultimo e Sue flirtano spudoratamente, l’ipocondriaco Mort si fa visitare da una brillante e bellissima cardiologa della quale si invaghisce e che rende la sua permanenza al Festival molto più interessante…
Critica: Wallace Shawn ha iniziato la sua carriera cinematografica nel 1979 con Manhattan, capolavoro di Woody Allen, proseguendo poi la sua collaborazione con il regista in diversi altri film (Radio Days, Ombre e Nebbia, La maledizione dello scorpione di giada) fino ad arrivare ad essere protagonista (e nel caso di Allen questo significa suo alter ego) di questo ultimo lavoro in cui veste i panni del classico personaggio alleniano con una stupenda autoironia, dato che lui stesso è stato professore ed è tuttora scrittore e sceneggiatore di successo.
Ci sono tutti gli elementi che ci hanno fatto amare e riconoscere Allen negli anni, i suoi tratti distintivi, a cominciare dalla seduta psicanalitica con cui si apre il film e quell’ammiccare direttamente a noi spettatori portandoci “dentro” il film, mescolati con una nuova vena di malinconia più profonda, matura ma non senile, che vuole occuparsi, anche se con la consueta leggerezza, delle domande che “davvero importano”.
Sparpagliate con apparente noncuranza arrivano al cuore “le domande fondamentali” ed emerge la preoccupazione autobiografica del regista nell’interrogarsi su quanto sia difficile scrivere (o girare) un capolavoro. Magari siamo perfettamente in grado di riconoscerne uno ma, allo stesso tempo, ci rendiamo conto di quanto sia difficile essere all’altezza delle nostre sempre troppo grandi aspirazioni e di quella ricerca di perfezione impossibile.
Allen ironizza con stile sul cerimoniale dei Festival cinematografici a cui tante volte ha partecipato, guardandolo attraverso gli occhi del suo burbero ma in fondo tenerissimo e spaesato professore soprannominato “Il Grinch”, ed intervalla il suo racconto con gustosi sogni in bianco e nero, in cui lo spettatore si può cimentare a riconoscere “Quarto potere” di Orson Welles o “Il settimo sigillo” di Bergman (meraviglioso, come sempre, Christoph Waltz nei panni della Morte in uno dei dialoghi più belli, spassosi e profondi del film),e poi Fellini, Godard, Lelouch, Buñuel e ancora Bergman, riconoscibili anche nella fotografia ricreata da Storaro con virtuosismo divertito.
Ma è solo svago? In verità la scelta di questi specifici film non è certamente dettata solo dall’ammirazione ma è il mezzo con cui esprimere, in maniera non pedante, un punto di vista sul Tempo. Un tempo che, arrivati ad un certa età, consapevoli della fragilità della vita, non si ha più voglia di perdere in futilità. Il modo con cui Allen ci fa riflettere è sempre il sorriso, la battuta pungente e sottile, come nella scena in cui il povero Mort fa da terzo incomodo al tavolo di ristorante dove la moglie, la seducente Gina Gershon, passa dal malcelato disprezzo per il “solito” marito agli sguardi languidi indirizzati alla spocchiosa “giovane promessa” Philippe (un Luis Garrel che scherza con il suo fascino e attraverso il quale viene messo in ridicolo chi si crogiola riempiendosi la bocca della parola “Arte” e proclama banalità con tono pretenzioso).
E poi arriva Lei, la dottoressa Jo Rojas (l’attrice spagnola Elena Anaya), bella, intelligente, semplice, spontanea, coltissima, buona, capace di rendere sexy anche la parola “reflusso”…insomma, tutte le caratteristiche per far innamorare il timido Mort. Da qui in poi non si può svelare come termineranno le avventure dell’arzillo professore newyorkese a cui fanno da sfondo i panorami da cartolina di San Sebastian accompagnati dalle deliziose musiche del chitarrista jazz Stephane Wrembel.
“Rifkin’s Festival” è un film che va visto almeno due volte, la prima per ridere delle battute e la seconda per commuoversi delle tante verità sui rapporti umani che racchiude, proprio come le migliori pellicole di Allen che, passati gli 85 anni, ci insegna che si possono sdrammatizzare anche i bilanci esistenziali e che soprattutto non ha nessuna intenzione di smettere di amare la vita ed il Cinema.
Camilla Lavazza
La scheda del film
Regia Woody Allen
Soggetto e sceneggiatura Woody Allen
Interpreti e personaggi
Elena Anaya: Jo Rojas
Louis Garrel: Philippe
Gina Gershon: Sue
Sergi López: Paco
Wallace Shawn: Mort Rifkin
Christoph Waltz: la Morte
Steve Guttenberg: Jake
Richard Kind: padre di Mort
Nathalie Poza: madre di Mort
Enrique Arce: Tomas Lopez
Damian Chapa: ospite del festival
Georgina Amorós: Delores
Douglas McGrath: Gil Brener
Tammy Blanchard: Doris
Bobby Slayton: Ogden
Fotografia Vittorio Storaro Montaggio Alisa Lepselter
Effetti speciali Mariano García, Jon Serrano Musiche Stephane Wrembel
Scenografia Alain Bainée Costumi Sonia Grande
Produttori Letty Aronson, Erika Aronson, Jaume Roures
Produttori esecutivi Mario Gianani, Lorenzo Mieli, Lorenzo Gangarossa, Javier Méndez, Adam B. Stern
Durata 92 min
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